
Una voce corre insistente da alcuni giorni, sulla possibile nascita di un “Philadelphia” senza latte. A quanto pare, ai primi di giugno, alcuni profili social per vegani (Vegconomist su Facebook e Vegan Food Uk su Instagram, ma anche altri minori) avrebbero diffuso la notizia d’un sondaggio online attraverso cui il produttore Kraft Heinz intenderebbe valutare la messa in produzione della “versione vegetale” del famoso formaggio spalmabile.
Il pensiero di molti è corso veloce a Cadbury Veg, la tavoletta di cioccolato “senza latte” lanciata sul mercato dalla Mondelez International (la seconda big dei dolciumi, dopo Mars) dopo una campagna di sondaggi social avvenuti l’anno scorso.
Il “Philadelphia Veg” si aggiungerebbe ad una gamma di prodotto che Kraft Heinz sta arricchendo da un anno a questa parte. Nel 2019 la big statunitense ha investito 3,5 milioni di dollari Usa nella creazione della controllata “New Culture”, una start-up biotecnologica con sede in Nuova Zelanda specializzata nella messa a punto e nella produzione di “formaggi” da materia prima vegetale. [continua dopo la pubblicità]
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La scelta di Kraft Heinz accompagna e supporta una tendenza che appare ancora marginale ma in progressiva crescita: un numero sempre crescente di consumatori in tutto il mondo si sta allontanando dai prodotti lattiero-caseari per motivi ideologici (animalismo), di salute (intolleranze più o meno immaginarie) e ambientali (il pensiero va alla zootecnia intensiva più impattante) e molti di essi si rifugiano in prodotti apparentemente simili, anche se di natura, contenuti e nutrienti totalmente differenti.
Secondo alcune previsioni, basate su recenti studi di mercato – già nel corso del 2020 quasi il 50% degli statunitensi dovrebbe avvicinarsi al cosiddetto “latte” a base vegetale. Al contempo, una valutazione operata pochi mesi fa nel Regno Unito riferisce di un 25% di consumatori ormai migrati dal latte alle bevande vegetali “similari”. Per un’idea più complessiva basti pensare che la Future Market Insights ha recentemente divulgato un’analisi delle dimensioni del mercato globale dei formaggi vegani, stimato attorno ai 2.149 milioni di dollari nel 2019, previsto in crescita almeno sino al 2028.
Il mondo del latte (e derivati) è come stretto in una morsa
Siamo – è evidente – di fronte alle conseguenze di due azioni articolate, complesse e contrapposte: da una parte quella che sostiene una ricerca scientifica “non indipendente”, impegnata a sfornare studi rassicuranti sugli pseudo-latti (l’industria del settore sta investendo cifre da capogiro per foraggiarne più o meno palesemente); da un’altra c’è la crescente e articolata pressione – ora acuita dalla pandemia da Coronavirus – sui temi dell’animalismo, del benessere animale, dell’ambientalismo, della biodiversità, delle emissioni di CO2 – e chi più ne ha più ne metta – che, un colpo dopo l’altro, stanno demolendo le fondamenta del mondo del latte, quello vero. [continua dopo la pubblicità]
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La strada pare ormai segnata, purtroppo: taluni esperti – o sedicenti tali – si avventurano nel prevedere cosa accadrà ben oltre l’attuale crollo della domanda dei prodotti lattiero-caseari. Il sistema industriale segna il passo, palesando una totale assenza di argomentazioni, di strumenti, di idee: a prevalere sono in esso le lamentazioni di chi si dipinge vittima di una convergenza infausta che – difficile non ammetterlo – lascerà profonde cicatrici e pochi sopravvissuti. Sembra ieri che i soloni in questione predicavano quella che a loro detta sarebbe stata l’ultima svolta, al passo con i tempi: quella “zootecnia di precisione” che oggi ci appare per quello che è stata, vale a dire l’ennesimo inganno per mungere gli ultimi soldi a chi ancora ne aveva, e a chi – per averne – si è impegnato un’azienda, una casa o entrambe le cose.
Verosimilmente sopravviveranno pochi e sempre più grandi allevamenti, e produrranno nella dimensione di una zootecnia-monstre: che chiamare intensiva è un eufemismo. Una zootecnia in cui la prima preoccupazione sarà – come al solito, da 60 anni – produrre di più (il loro chiodo fisso). E la seconda. È presto detta: l’apoteosi della falsificazione mediatica, la dissimulazione – agli occhi del mondo – di tutte le malefatte possibili e immaginabili. Ancora nessuno, a quanto pare, si chiede seriamente come viva e quanto viva una vacca “industrializzata”: ecco, la sensazione è che non appena questa attenzione entrerà nel mirino dei vari censori il colpo mediatico finale verrà sferrato.
Ma a sopravvivere saranno anche – e per fortuna – poche e piccole stalle che riusciranno a convertire, trasformando e distribuendo in proprio i loro sani prodotti – latte vero e suoi derivati – ad un mercato locale che pian piano crescerà, forse, innescando altre possibili rinascite nella dimensione e nell’ottica di una zootecnia sostenibile: che abbia radici nel passato ma che sia dotata delle poche conquiste utili che la modernità in questi ultimi anni si è degnata di offrirci.
15 giugno 2020
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