Svizzera: al referendum sulla caccia si decide la sorte dei lupi

foto di Tahoe – UnSplash©

Il 27 settembre i cittadini svizzeri torneranno alle urne per il referendum teso a modificare l’attuale legge sulla caccia, vecchia di 34 anni. Da allora il contesto ambientale è notevolmente cambiato, per cui l’obiettivo è quello di adeguare uno strumento superato alle necessità attuali. Rispetto al 1986 “i lupi, allora assenti, hanno fatto ritorno. Nel 2019 ne si contavano 80 esemplari e 8 branchi. Questa presenza preoccupa la popolazione e le autorità locali: i lupi si avvicinano ai villaggi, attaccano pecore e capre; nell’ultimo decennio ne hanno uccise tra le 300-500 all’anno”.

Queste affermazioni, fondate su attendibili censimenti pubblici, non arrivano da qualche gruppo portatore di specifici interessi, ma fanno parte di un’informazione piana, lineare e oggettiva fornita dalla Confederazione Elvetica attraverso il proprio portale web, con l’intento di informare la cittadinanza sulle ragioni che hanno condotto all’iniziativa referendaria.

Il tributo pagato dai pastori per l’eccessiva diffusione dei lupi è ingentissimo, in Italia come in Svizzera e in molti altri Paesi europei – foto di Thomas Defrancesco© tratta da Facebook

“Tenuto conto di questo nuovo contesto”, prosegue l’organo d’informazione del Consiglio Federale Elvetico, “il Parlamento ha elaborato nuove regole e una revisione della legge sulla caccia: il lupo resterebbe una specie protetta e i branchi preservati. Si permetterebbe ai Cantoni di controllare la crescita e la diffusione dei lupi e di ordinarne l’abbattimento a precise condizioni, prima di aver causato danni. La Confederazione dovrà comunque sempre essere consultata prima di ogni eventuale abbattimento”.

Nel revisionare la legge, i legislatori svizzeri hanno pensato bene di ridefinire le condizioni per il risarcimento dei contadini, in caso di predazione di bestiame da parte del lupo, e questo, per voce del Governo, con l’intenzione di accrescere la protezione di alcuni animali selvatici, migliorando gli spazi vitali a loro disposizione.

Nei mesi scorsi, come era prevedibile, alcune associazioni ambientaliste hanno lanciato pressanti azioni mediatiche contro questa riforma, che – a loro dire – consentirebbe di abbattere preventivamente animali protetti, senza ragione, ancor prima che abbiano commesso un danno. Inoltre, sempre a detta degli ambientalisti, il nuovo testo di legge potrebbe mettere in pericolo altre specie protette, concedendo al Consiglio Federale di allungare in futuro la lista di quelle che potranno essere “regolabili”, ossia oggetto di interventi di contenimento.

A questo proposito “il Consiglio Federale e il Parlamento”, è la risposta ufficiale giunta sempre dal portale della Confederazione Elvetica, “non contestano questo punto. Tuttavia ricordano che sarà possibile considerare regolabili altre specie solo se vi saranno motivi oggettivi per farlo. Il Parlamento ha inoltre già escluso che linci, castori, aironi cenerini e smerghi maggiori possano rientrare nella lista degli animali “regolabili””.

Certo è che con l’avvicinarsi del 27 settembre le polemiche si fanno sempre più pressanti: alle stantie argomentazioni degli animalisti si alternano prese di posizione non solo delle parti in causa – gli allevatori, i pastori e le loro comunità rurali – ma anche di una crescente schiera di associazioni di base, intellettuali, politici e amministratori locali.

I comuni montani sono con i pastori
Tra questi ultimi brilla la presa di posizione di Pierluigi Martini, sindaco di Cevio, in Val Maggia, che a nome del consiglio comunale, e interpretando il diffuso sentire di tutte le comunità di montagna, ha dichiarato: «Il lupo non uccide solo le pecore e le capre, che pure sono di qualcuno e meritano anch’esse protezione! Il lupo uccide anche l’allevamento tradizionale di montagna, di conseguenza altera il paesaggio pascolato e aperto, con relativi sentieri escursionistici, e di riflesso incide sui prodotti agroalimentari nostrani, così ricercati e importanti per l’economia locale (ristorazione, turismo, ndr), che identificano un territorio».

Ma non solo, perché esso «modifica anche la libertà e la sicurezza con le quali finora abbiamo potuto usufruire, con piacevole tranquillità, dei nostri boschi, delle valli e dei monti. Non si venga a dire che in un territorio popolato dai lupi non vi siano motivi per provare qualche comprensibile timore, tanto da evitare la frequentazione del territorio stesso in barba al tentativo – tanto sciagurato quanto ingenuo – di insistere con l’affermare che il lupo rappresenta un valore aggiunto per il nostro ambiente naturale. Il propagarsi del lupo dimostra chiaramente che negli ultimi decenni vi è stato un grande ampliamento della zona boschiva e quindi si è formato un habitat naturale adatto al ritorno di questo scomodo predatore».

«Più del lupo», insiste il primo cittadino di Cevio, «per la biodiversità conta maggiormente un gregge libero al pascolo (il brucare erbe, in particolare erbe con semi, e il defecare altrove, proprio dei ruminati, è un’attività fondamentale per il mantenimento della biodiversità vegetale, ndr) che mantiene il territorio con tutte le sue componenti naturalistiche».

«Già è stato dimostrato», conclude Martini, «che una convivenza con l’agricoltura di montagna, anche se si adottano improbabili e onerosi provvedimenti – sostanzialmente inefficaci – non è possibile. Basta una predazione per generare comprensibili motivi di incertezza, di paura. Chi vuole sostenere il contrario, invece di manifestare posizioni chiaramente ideologiche – quindi irrazionali e che non vogliono considerare la situazione con il dovuto pragmatismo – si metta concretamente a disposizione dei nostri contadini per fare i pastori a custodia delle greggi, di giorno e notte!».

14 settembre 2020