Qualcuno lo ha chiamato “il premio del cibo che nessuno vuole”: è il Goldener Windbeutel, promosso dall’associazione no-profit FoodWatch a partire dal 2009. In italiano la denominazione suona letteralmente come “Bigné Dorato”, ed il marchio riproduce proprio una bella pasta di pasticceria ben farcita, sotto la quale campeggia la dicitura “Il premio per la menzogna pubblicitaria più sfacciata dell’anno”.
Siamo quindi nel campo della critica sagace, degli sfottò, della goliardia con cui – tra il serio e il faceto – la società civile si prende gioco dei potenti, delle industrie e del sistema consumeristico, che ci bombarda di messaggi quasi mai veritieri e talvolta tanto fasulli da superare il limite dell’umana tollerabilità. Uno sfottò che – c’è da sperarlo – dovrebbe comportare, per “vincenti”, qualche sostanziosa perdita di fatturato.
Anno dopo anno gli organizzatori del premio definiscono le cinque nomination in estate per poi passare la parola – o meglio il voto – ad una vasta giuria popolare che virtualmente durante un mese intero esprime le sue preferenze. Attraverso di esse, nel mese di settembre, viene eletto il “vincitore”.
Tra i premiati più conosciuti in Italia, brillano (si fa per dire) le presenze di Actimel Danone (2009), Ferrero Fetta al latte (2011) e Smart Water di Coca Cola (2018). Quest’anno è il turno di un formaggio tedesco – il Grünländer del caseificio Hochland – che, approfittando di un vulnus nella definizione di “latte pascolo” (esiste l’Heumilch, o latte fieno, ma non il latte da vacche libere di brucare nei prati), ha reiterato oltre ogni umana sopportabilità messaggi palesemente falsi.
Come si sa, le menzogne hanno le gambe corte, e così, da un’indagine condotta dal gruppo di lavoro di FoodWatch, è risultato che le vacche da cui il latte del Grünländer viene munto non sono libere di muoversi al pascolo, come la confezione del prodotto vorrebbe lasciare intendere, bensì in stalla.
Oggi che la gente ha capito sulla propria pelle, grazie al lockdown, cosa significa essere costretti nel chiuso della propria casa, forse l’idea di vacche recluse per una intera vita in stalla arriva più forte nella sua chiara tragicità. Tornando al Grünländer, il suo caseificio si è esposto molto – anzi troppo – quando, alla fine del 2019 ha introdotto sulla confezione – raffigurante vacche al pascolo – la dicitura aziendale “Grüne Seele” (“Anima Verde”), una “patacca” arbitraria, non un marchio di garanzia come potrebbe apparire a molti acquirenti sprovveduti, distratti o superficiali che siano.
“Noi di Grünländer ci siamo sempre sentiti legati alla natura”, racconta la società nell’argomentare i perché del “Grüne Seele” sul proprio sito web. Peccato che le vacche che producono il latte per il Grünländer non si godano neanche un poco di libertà nel prato, visto che la loro vita la passeranno integralmente in stalla. Ed è proprio la palese contraddizione tra la narrazione ufficiale (quasi veritiera) e il racconto sulla confezione che ha decretato il voto della gente: il 43,5% dei votanti (28.443 persone) decreta il “successo del Grünländer; le briciole ai rimanenti quattro, con il secondo più votato – il Tè Rooibos bio Volvic di Danone Waters – che deve accontentarsi del 17,6%.
Non ci resta che sperare che a qualcosa tutto questo possa servire. A giudicare dalle decine di articoli usciti sulla stampa di lingua tedesca in questi giorni, l’effetto boomerang si è innescato. Che colpisca in pieno volto i vertici aziendali – come si spererebbe – non è ancora detto, ma anche se così non fosse, in molti hanno imparato a diffidare di questa azienda, per così dire “non troppo onesta”.
28 settembre 2020