Per chi consumi prodotti Nestlé la questione è stata superata nel breve spazio di qualche giorno: il richiamo per “rischio chimico” di alcuni lotti di cinque bevande a base di latte – Nesquik Shake, Nescafé Shakissimo vaniglia, Nescafé Shakissimo espresso, Nescafé Shakissimo cappuccino decaffeinato e infine Galak Shake – a inizio dicembre ha avuto tempi di reazione molto rapidi, sia nel ritiro dal commercio della merce sia nei tempi della sua reintegrazione.
È stato quindi un incidente di percorso come tanti ce ne sono, caratterizzato però da una motivazione che può pesare sull’immaginario collettivo: parlare di “chimica” per di pù nell’aggettivazione dell’oggetto “rischio” pone una buona parte dei consumatori in allarme. A nessuno di certo piace correre un “rischio chimico”, anche se tutti ne subiamo molto più spesso di quanto si possa credere, se ci alimentiamo con prodotti industriali.
Molte prassi produttive che le aziende utilizzano comunemente, introdotte dalle normative vigenti, per sanificare, conservare, “migliorare” i prodotti, implicano l’uso di una chimica che la normativa mantiene sì sotto i parametri del rischio, ma come per i conservanti e i coloranti (chimica anch’essi, in genere, ndr) ciò che sfugge è la sommatoria e la combinazione che i vari prodotti innaturali portano nell’organismo di ognuno di noi.
Con questo vogliamo semplicemente dire che il prodotto “xy” ingurgitato alle 9:30 di mattina incontrerà nel nostro stomaco il prodotto “xz” che avevamo trangugiato alle 8:30. A quale cocktail daranno origine i due non è cosa indagabile né prevedibile facilmente, e cosa ne deriverà per i nostri organismi nel tempo è materia che sfugge alle analisi, sfuggendo alle previsioni, almeno allo stato attuale delle cose.
Tornando all’inconveniente occorso alla multinazionale elvetica, l’azienda è stata molto solerte anche nell’investigare l’accaduto e nel comunicare, attraverso la stampa, le ragioni di quel rischio, in un breve ee chiaro messaggio che semplicemente parlava di una “possibile presenza di tracce di acqua ossigenata utilizzata per sanificare i vasetti”.
L’azienda, prodiga di informazioni, ha aggiunto inoltre che “a titolo precauzionale si prega di non consumare i prodotti e di riportarli al punto vendita per il rimborso”, mettendo inoltre a disposizione un Numero Verde per ogni eventuale domanda.
In sostanza quindi qualcosa non ha funzionato nell’igienizzazione dei contenitori: o la concentrazione dell’acqua ossigenata è stata eccessiva, o i tempi intercorsi tra l’igienizzazione stessa e la fase di riempimento sono stati inferiori a quelli previsti dalla procedura. Fatto sta che i controlli operati hanno fatto scattare l’allarme e il ritiro è avvenuto – ineccepibilmente – come da manuale.
Un’attenzione che però ogni consumatore dovrà prestare in futuro è quella di non minimizzare mai altri ritiri analoghi, già che in alcuni casi (non in questo della Nestlé, ndr) l’acqua ossigenata potrebbe essere usata (è una frode più frequente di quanto si possa credere) per bonificare un latte non idoneo alla commercializzazione (ad esempio quando la carica batterica è oltre i limiti di legge, ndr). Ripetiamo: non si tratta del caso in oggetto, ma ricordate sempre che quando viene trovata acqua ossigenata in un prodotto a base di latte, la causa può essere tanto l’una (una sanificazione errata del contenitore, come nel caso di Nestlé, ndr) quanto l’altra (una frode per riportare un latte “balordo” tra i latti “normali”).
16 dicembre 2020