
Ad un mese esatto dall’entrata in vigore della Brexit, si tirano le prime somme di tanti cambiamenti emersi nelle relazioni commerciali tra operatori del Regno Unito e operatori dei Paesi Ue, sia per chi aveva consuetudini ad esportare nello Stato insulare dell’Europa occidentale, sia per chi fosse nelle condizioni di importare da esso.
Le imprese sono state colpite non solo da blocchi di merce alle dogane (a volte imprevisti, molte altre prevedibili), ma anche da costi aggiuntivi, tasse, scartoffie e procedure non sempre semplici da attuare, con la conseguenza che diversi operatori avrebbero già smesso di commercializzare da e verso l’Ue.
Sorprendenti i casi-limite che – giustamente – hanno conquistato i titoli di giornali come The Guardian, o di televisioni come la Bbc, ma anche situazioni davvero paradossali, denunciate dai diretti interessati attraverso i social media.
In alcuni episodi, non sono mancate le denunce di situazioni al limite, come quella di funzionari pubblici che suggerirebbero agli operatori commerciali degli escamotage – come la creazione di hub in Europa – che, oltre a non essere alla portata di tutti, sposterebbero i relativi investimenti fuori dal Regno Unito e creerebbero un piccolo terremoto occupazionale: due conseguenze molto distanti dagli obiettivi che i fautori della Brexit si ponevano.
Tra le storie emerse su Facebook, ha colpito quella di The Ethical Dairy, azienda scozzese che martedì scorso, 26 gennaio, ha comunicato la sospensione delle consegne in Irlanda del Nord, a causa dell’impossibilità di produrre i documenti richiesti.
«Purtroppo», ha spiegato la titolare Wilma Finlay, «dobbiamo sospendere l’accettazione degli ordini per le consegne in Irlanda del Nord, con effetto immediato. Sappiamo che questo sarà deludente per i nostri clienti nord irlandesi : semplicemente non abbiamo le risorse per svolgere le pratiche burocratiche richieste. Siamo molto dispiaciuti di questo».
Ancora una volta accade che misure pensate per aziende di medie-grandi dimensioni siano impraticabili per le piccole realtà, spesso a conduzione familiare, per cui andrebbero pensate soluzioni differenti, agili e leggere, a meno che qualcuno non voglia farle scomparire, quelle aziende.
La burocrazia taglia le gambe ai piccoli produttori
«Produciamo formaggio biologico non pastorizzato», continua Finlay, «con il latte della nostra fattoria biologica. Vendiamo principalmente e direttamente ai clienti finali, attraverso il nostro sito web», e questo anche in conseguenza della pandemia, che ha ridotto enormemente le ordinazioni dei ristoratori, incidendo anche su quelle dei negozianti.
«Sebbene le vendite online siano sempre state importanti per noi», precisa la titolare di The Ethical Dairy, «l’impatto del Covid-19 ha fatte crescere soprattutto quelle dei piccoli quantitativi, di clienti privati, e ora rappresentano l’80% del nostro commercio».
«Le pratiche burocratiche richieste per inviare prodotti di origine animale nel mercato unico sono comprensibilmente concepite per spostare grandi volumi di prodotti«. In sostanza, «ogni consegna di prodotti lattiero-caseari in un Paese come l’Irlanda del Nord richiede un certificato sanitario del veterinario e un certificato di ispezione biologica, oltre alle relative pratiche di esportazione». Un’operazione che ha senso per un bancale di prodotto, non per un chilo.
«Il colpo più grande per noi», ha aggiunto Finlay, «è dire ai nostri clienti che non possiamo più spedire il formaggio. Siamo molto dispiaciuti di non poter trovare una soluzione praticabile, e la cosa più frustrante è che in realtà siamo più vicini all’Irlanda del Nord che a Glasgow o Edimburgo: le persone in Irlanda del Nord sono più dei nostri clienti, sono i nostri vicini».
Una clientela molto particolare
L’interruzione delle spedizioni ha suscitato forti reazioni tra i clienti di The Ethical Dairy, che nel prodotto dell’azienda scozzese trovano la qualità del piccolo produttore che trasforma artigianalmente il solo proprio latte, ma anche un grande rispetto per gli animali: il codice etico aziendale ad esempio prevede che i vitelli rimangano con le madri e vengano allattati da esse per almeno cinque mesi.
Per fare ciò, l’azienda destina alla trasformazione una sola mungitura al giorno, anziché due, come in tutte le aziende di queste dimensioni e tipologia. Una scelta che, sottolinea l’azienda, ha portato ad un latte più sano, ad enormi riduzioni nell’uso di antibiotici e all’aumento della biodiversità della fattoria.
1º febbraio 2021