India: i produttori di latte respingono l’attacco mediatico di Peta

Allevatori indiani con manze di razza tipica locale – foto di Organic Gir Cow Dairy Farm©

Come un ordigno a tempo, come una sciagura annunciata che arriva implacabile, anche quest’anno organizzazioni animaliste che hanno nel terrorismo psicologico il loro modus operandi, si sono ripetutamente attivate in tutto il mondo in varie azioni pubbliche con chiari intenti mediatici.

Non a caso sono tornate a farlo venerdì scorso, 4 giugno, alla vigilia della Giornata mondiale dell’ambiente. L’iniziativa più clamorosa, che ha avuto ampio risalto su molti media europei – cartacei, web, televisivi – è stata compiuta a Strasburgo dall’associazione Peta (People for the Ethical Treatment of Animals) Europe. Alcuni attivisti di quella realtà hanno posizionato tre sculture di ghiaccio giganti, raffiguranti un maiale, una mucca e un pollo, davanti alla sede del Parlamento Europeo, invitando gli astanti – e in particolare i funzionari eletti – a riflettere sulle implicazioni esistenti tra la crisi climatica e l’allevamento intensivo.

Lo stabilimento lattiero-caseario della Amul di Anand, in India – foto Notnarayand© – Creative Commons License

Nel corso delle ore, ovviamente, le sculture si sono sciolte e sopra di esse è apparso uno striscione che recitava “Change your plate, not the weather. Farming melts ice floes: go vegan”, vale a dire “Cambia il tuo piatto, non il tempo. L’allevamento scioglie i blocchi di ghiaccio: diventa vegano”.

Sassoli non raccoglie la provocazione
Nell’occasione, gli attivisti di Peta ha anche recapitato al presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, una lettera in cui viene richiesto ufficialmente di far sì che i pasti serviti all’interno di quella sede istituzionale siano d’ora in avanti unicamente vegani, asserendo che “ciò ridurrebbe le emissioni di carbonio legate al cibo” e “sarebbe la scelta più ecologica” che un organismo di così alta rappresentanza politica e amministrativa potrebbe fare. Al momento – e per fortuna – non risulta che Sassoli si sia espresso su questa illegittima interferenza.

La più bella risposta arriva dall’India
Pochi giorni prima, a più di 7mila chilometri di distanza, dal suo ufficio di Anand, nello stato federato di Gujarat, in India, l’amministratore delegato della cooperativa Amul (3,6 milioni di allevamenti riuniti in tredici sindacati agricoli), Mr. R.S. Sodhi, decideva invece di replicare alle pressioni che la medesima organizzazione aveva recentemente avanzato. E lo faceva con la più bella, autentica e vera risposta che questi esaltati avrebbero mai potuto ricevere.

Rilanciando una notizia apparsa sui media indiani a proposito dell’ennesima richiesta ricevuta da Peta India – circa la presunta necessità di convertire la produzione di latte in bevande di origine vegetale – Sodhi ha semplicemente chiesto all’organizzazione se è disponibile a “farsi carico della sussistenza di milioni di allevatori senza terra”.

Utilizzando Twitter, Sodhi ha chiesto: “Daranno” queste persone “sostentamento a cento milioni di indiani coinvolti nella produzione di latte (il 70% senza terreni propri)? Pagheranno la retta scolastica dei loro bambini? E quanti potranno permettersi i costosi alimenti fabbricati in laboratorio, a base di sostanze chimiche e vitamine sintetiche?”

“I prezzi esorbitanti a cui verrebbe venduto il latte di soia”, ha aggiunto Sodhi, “renderanno il latte inaccessibile alla classe media”. “Peta vuole che Amul tolga i mezzi di sussistenza a cento milioni di poveri contadini e che consegni tutte le risorse costruite in 75 anni con i soldi degli agricoltori per commercializzare la soia geneticamente modificata prodotta da ricche multinazionali a prezzi esorbitanti, che la classe media medio-bassa non può permettersi”.

Nel contraddittorio che ne è scaturito, Peta India ha replicato dando i numeri, sostenendo che sulla “domanda di cibo e bevande vegane si stima che il mercato globale delle alternative lattiero-casearie raggiungerà i 52,58 miliardi di dollari entro il 2028” e portando l’esempio della multinazionale Unilever, che recentemente ha annunciato una forte riconversione alla produzione vegana.

La risposta alle posizioni contrapposte dei due l’hanno data i “like” ricevuti da questi messaggi: oltre 23mila quelli per il dirigente di Amul e 159 (sì, avete letto bene: 159) quelli per Peta India. Gli allevatori di quel Paese possono dormire ancora sonni tranquilli.

7 giugno 2021