Heumilch: la lezione per l’Alto Adige del latte arriva dalla Baviera

Autocisterna del latte
foto Berchtesgadener Land©

Le autocisterne refrigerate del latte viaggiano in tutto il mondo: le vediamo – chi più chi meno – in giro per le strade di grande comunicazione e nelle campagne. Si spostano tra le stalle, le latterie e i caseifici, caricano e scaricano latte. E viaggiano superando confini amministrativi segnalati dalle cartellonistiche stradali (provinciali, regionali, statali) ma anche confini poco evidenti ma altrettanto importanti: quelli dei disciplinari Dop, ad esempio.

Il rischio di frode ai danni dei consumatori – e di attori terzi del settore, quelli che lavorano onestamente – è sempre dietro l’angolo. Scandali più o meno gravi in ragione anche dell’attenzione mediatica che generano, possono colpire una realtà produttiva per qualche operazione ardita e illegale, che oltre ad infrangere regole prestabilite interrompe la linea di fiducia che lega idealmente ogni consumatore a quel produttore.

Ma quando la cessione del latte avviene nei margini della correttezza, tra operatori simili, in territori simili, e quando quella materia prima è prodotta in maniera coerente con le altre a cui viene unita per generare un dato alimento, e quando tutto ciò è dichiarato, è allora che ci troviamo di fronte all’esemplificazione lampante di come si dovrebbe agire, se davvero si desiderassero il rispetto e la fiducia dei consumatori e degli operatori tutti, e un’immagine integra e inappuntabile.

Diciamo questo pensando a quanto siano vicini – geograficamente – e al tempo stesso lontani – nell’approccio con questa materia – i produttori di latte altoatesini (investiti da uno scandalo nelle scorse settimane: leggi qui e anche qui) e il bavarese Berchtesgadener Land: i primi che lavorano latte di altre nazioni (Austria, Germania e addirittura Belgio!) e lo fanno nascondendosi dietro a un dito, i secondi che – in ragione dell’aumentata richiesta di mercato – acquistano del latte in Austria (Tirolo), e lo dichiarano pubblicamente.

L’approccio alla questione che la cooperativa bavarese decide di adottare manifesta la massima trasparenza e serietà, e manda in soffitta le vuote retoriche a cui siamo purtroppo abituati. Ciò che più conta non è tanto la nazione di origine (la logica del “made in Italy” sempre e comunque “superiore”) bensì la natura del prodotto: latte fieno tirolese e latte fieno bavarese sono latti consimili, che alla verifica delle analisi degli acidi grassi daranno risultati del tutto analoghi, quanto lo sarebbero latti di diversi produttori di un medesimo territorio. Ed è questo e solo questo ciò che maggiormente conta.

La vicenda del latte che dal Tirolo va in Baviera, ovviamente, non può accontentare tutti. È ovvio che nella regione austriaca questo venga vissuto come uno scippo, un’ingerenza, uno sconfinamento in un territorio che, oltre ad essere geografico, è quello di una realtà con qualche sofferenza, ma queste, dalla nostra prospettiva sono questioni marginali, che non toccano gli interessi né dei consumatori (tutt’altro!), né dei produttori. Come se del latte di pecora sardo finisse nel Lazio (o viceversa) per produrre Pecorino Romano Dop.

18 ottobre 2021