Mélenchon (LFI): “Chiudere tutti gli allevamenti intensivi, prima causa di nuove pandemie”

Laboratorio di biotecnologie
Jacobs School of Engineering©

Quattro mesi ancora – o poco più – e i francesi saranno di nuovo impegnati nelle elezioni presidenziali. Tra i candidati alla successione a Emmanuel Macron, spicca la presenza di Jean-Luc Mélenchon, leader del movimento La France Insoumise (La Francia Ribelle), che nel 2017 superò il 19% dei consensi, andando ad un passo dal ballottaggio.

Come sempre accade, in qualsiasi Paese, i candidati sono portati ad esporre al corpo elettorale idee e programmi, e quelli di Mélenchon stanno cogliendo le attenzioni di una parte della stampa per il coraggio e la fermezza con cui tematiche molto sensibili sono da lui trattate. Dalla questione ambientale a quella sanitaria, dalla future possibili pandemie al tema delle produzioni agrozootecniche, il leader di LFI affronta senza peli sulla lingua questi ed altri temi attuali e scottanti nelle interviste, oltre che nel programma elettorale del suo movimento, e nelle pagine del suo blog.

Jean-Luc Mélenchon
Jean-Luc Mélenchon – foto Fred Marvaux© European Parliament – Creative Commons License

Ed è proprio da lì, dalla sua piattaforma web, che mercoledì scorso 8 dicembre, Mélenchon ha pubblicato un articolo intitolato “L’ère de la pandémie permanente” (“L’era della pandemia permanente”), tornando a toccare tematiche a lui care da anni, con un’energia e una lucidità che non meraviglia affatto chi lo conosca.

“Il 1° dicembre scorso”, esordisce il politico francese, “i membri dell’OMS (Organizzazione mondiale della sanità) hanno concordato di sviluppare un trattato internazionale per prevenire le pandemie. Era ora di iniziare, visto che il 60% delle malattie infettive emergenti proviene da animali. Il rischio è immenso: 800.000 virus ancora sconosciuti ma presenti in natura potrebbero infettare l’uomo”.

“Certo”, prosegue Mélenchon, “quella del Covid-19 è almeno la sesta pandemia globale” con cui l’umanità si trova a combattere, “da quella della cosiddetta influenza “spagnola” all’inizio del XX secolo. Ma da allora le segnalazioni si sono moltiplicate. Perché questa volta è in gioco la natura stessa delle attività umane, legate al sistema produttivista globalizzato”.

Un discorso che punta il dito nella direzione giusta: la massiccia deforestazione, i sempre più frequenti contatti degli animali selvatici con gli animali allevati e con gli esseri umani. Ma anche le condizioni sociali della produzione e del commercio, che determinano l’emergere e la portata delle pandemie.

“Vale la pena ripeterlo”, incalza Mélenchon: “la radice di ogni moderna pandemia è ecologica, e il suo punto di partenza è sociale. Questa non è un’invenzione dei ribelli. Questa è la conclusione degli scienziati dell’Ipbes (Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services)”, che nell’ottobre scorso ha pubblicato un esaustivo rapporto intitolato “Escaping the Era of Pandemics” (“Sfuggire all’era delle Pandemie”) in cui la visione complessiva della questione si snoda sui concetti della prevenzione, dell’eliminazione delle cause: del “prevenire, che è meglio del curare”.

“In effetti”, argomenta Mélenchon, “secondo i calcoli degli scienziati, “cambiare il modo in cui produciamo e commercializziamo al fine di evitare le pandemie, sarà cento volte meno costoso che soffrirne”.

Ma cosa fare, per mettere al sicuro la popolazione mondiale? “In primo luogo”, argomenta Mélenchon, “dobbiamo fermare il commercio internazionale di animali selvatici e dei prodotti da loro derivati. E poi, soprattutto, dev’essere definita, nell’immediato, una moratoria che vieti qualsiasi installazione o estensione dell’allevamento intensivo. Questo è il minimo, vista l’emergenza sanitaria in cui ci troviamo!”.

“Noi di LFI abbiamo identificato il commercio di animali selvatici e l’agricoltura intensiva come le cause da affrontare. Lo abbiamo indicato e argomentato nel nostro “Rapporto d’Indagine sul Covid-19”, nel maggio del 2020. Ma la maggioranza macronista ha compiuto l’impresa di approvare una legge “contro gli abusi sugli animali” nel novembre 2021 senza alcuna misura per rompere il modello agroindustriale”.

Tuttavia, la deforestazione e il maltrattamento che essa genera non esonerano in alcun modo la Francia dalla sua responsabilità per l’insorgere di zoonosi.

“Le cifre della sola Francia”, insiste Mélenchon, “fanno venire le vertigini”, e nel resto dei Paesi industralizzati la situazione non è certo diversa: “migliaia gli allevamenti intensivi in cui gli animali sono ancora in gran parte allevati in gabbia: conigli (99%), maiali (95%) e polli (85%), e “pecore e buoi che possono essere trasportati per ventinove ore”, ammassati in ogni singolo viaggio.

Tutte situazioni e “passaggi che”, aggiunge il politico francese, “possono favorire trasmissione, sviluppo e diffusione di virus devastanti”, come in realtà rischiamo che avvenenga: “a livello globale, ad esempio, le epidemie negli allevamenti di animali sono triplicate negli ultimi quindici anni. È stato appena rilevato il ritorno dell’influenza aviaria sul suolo francese in un allevamento di 160mila galline (e anche in Italia, Regno Unito e in altri Paesi europei l’aviaria è da poco tornata, anche se i media non ne parlano più di tanto, ndr).

Da tutto questo, incalza Mélenchon, dobbiamo “uscirne fuori”: dobbiamo agire rapidamente e con decisione. Gli allevamenti intensivi dovrebbero essere vietati. Lo abbiamo proposto con emendamenti nel maggio del 2018, nell’ambito del disegno di legge agroalimentare, che fu respinto!”

“Non dobbiamo perdere di vista il fatto che una pandemia può nasconderne un’altra”, conclude il leader di La France Insoumise: “il prossimo focolaio potrebbe essere già presente nelle fattorie. Se sarò eletto, la Francia porterà quindi tutto il suo peso nei negoziati del trattato internazionale per prevenire le pandemie. Ovviamente darà l’esempio, rompendo con il modello agroindustriale a partire dal proprio suolo. Abbiamo già un piano per attuare questo”.

13 dicembre 2021