Ogni amante del buon formaggio sa che la dicitura “fromage fermier”, sulla confezione di un formaggio francese, ci informa che dovremmo trovarci di fronte ad un prodotto di qualità superiore, se non altro perché quella definizione – che in italiano sta per “formaggio di fattoria” – ci dice che il latte utilizzato è quello aziendale, che il produttore è un’azienda agricola, che – si suppone – gli animali vivano, come l’immaginario di una fattoria ci lascia credere, in buone condizioni rispetto a quelli allevati in un sistema industriale.
Bene, anzi male, perché la storia di oggi ci racconta tutt’altro.
Uno dei casi più gravi di maltrattamento animale degli ultimi anni è stato registrato nei giorni scorsi in Francia, per l’appunto in un’azienda agricola, la Chevenet di Saint-Maurice-de-Satonnay, nel dipartimento di Saône-et-Loire. Che altro non è se non la più grande e famosa produttrice di formaggi caprini “fermier”, per l’appunto.
A denunciare una situazione da film degli orrori, mercoledì scorso 26 ottobre, sono stati quelli di L214, un’organizzazione francese per i diritti degli animali, che hanno documentato in maniera accurata ogni abuso compiuto giornalmente su capre, becchi e capretti della fattoria.
Per dare alla denuncia la massima risonanza, quelli di L214 hanno coinvolto uno dei personaggi più noti e amati dal pubblico francese, e non solo: l’attrice Isabelle Adjani. E la Adjani volentieri ci ha messo la faccia per garantire alla denuncia la massima risonanza: «No», ha esordito l’attrice, davanti alle telecamere, «non è un formaggio che può giustificare tanta sofferenza». Poi, più delle parole, hanno parlato le immagini, e le testimonianze di chi in quell’allevamento ha lavorato negli ultimi tempi.
Capretti morenti abbandonati a sé stessi, nel mezzo della stalla e poi accatastati per giorni prima della rimozione, ma anche capre, rinchiuse a migliaia in capannoni sovraffollati, e inservienti che per ogni minimo motivo picchiano le povere bestiole con dei bastoni. Più che un’azienda che produce formaggi “fermier”, un luogo di soprusi e di torture. Ben oltre ciò che il peggior allevamento intensivo possa indurre a credere.
Le immagini, prodotte da alcuni lavoratori stagionali, sono state filmate nell’allevamento principale della Chevenet, a Saint-Maurice-de-Satonnay. Per capire di che azienda stiamo parlando, basti pensare che essa produce più di quattro milioni di formaggi ogni anno (con i marchi Grandjean, Le Chevrier des Crays e Chevenet), tra cui due Dop (Charolais è Mâconnais), e che tra i suoi clienti figurano ristoranti stellati come L’Auberge de Paul Bocuse a Collonges-au-Mont-d’Or e supermercati come Metro, Auchan e Carrefour, tanto per fare qualche nome.
Informati tempestivamente, molti supermercati hanno deciso di ritirare i prodotti dell’azienda dai banchi di vendita, al crescere della pressione mediatica, comunicando al produttore la sospensione delle forniture.
Lontana mille miglia dall’immaginario collettivo delle caprette felici, Chevenet ospita circa duemila capre, allevate in stalla, con possibilità di uscire unicamente in un cortile in cemento. Nessuna possibilità di pascolo, come il sito web dell’azienda porta a credere.
Dalle indagini compiute risulterebbe che le capre con difficoltà al parto vengono, senza indugio alcuno, avviate al macello, che i capretti, dopo l’assunzione del colostro vengano tolti alle madri: i maschi per essere venduti a qualche ingrassatore, mentre le femmine passerebbero subito al latte in polvere, sin quando non sono pronte per rinnovare la mandria. Ma non solo, visto che nel periodo dei parti decine di piccoli muoiono, abbandonati a loro stessi. Le loro carcasse sono ammucchiati all’esterno, su quelle dei giorni precedenti, sinché un furgone, un giorno, non le porterà via.
Rintracciato dai cronisti, il titolare dell’azienda, Thierry Chevenet, ha commentato dicendo che «è a questo prezzo che il mio gregge non soffre di nessuna malattia, perché solo gli animali più sani sopravvivono, dando il latte migliore». Un’ammissione di colpevolezza, lasciar intendere che gli animali più deboli e malati siano lasciati senza cure sino alla morte, perché le leggi dicono altro: l’allevatore deve provvedere alle loro cure, e garantire ad essi il massimo benessere.
Le azioni di L214
Oltre ad aver pubblicato le testimonianze integrali di due ex dipendenti dell’azienda (“…non pensavo che avremmo visto capre e capretti morti in mezzo agli altri, per giorni interi…”; “C’era puzza di morte ovunque. Gli animali morti venivano spostati appena dietro la stalla, a terra… a marcire per giorni e giorni…”), l’associazione animalista L214 ha lanciato due azioni per garantire alla denuncia maggior rilevanza e massimi risultati: una ricerca di ulteriori testimonianze, video e foto davvero impressionanti e una petizione, che al momento ha raccolto più di 63mila firme.
L’associazione ha inoltre presentato una denuncia contro l’azienda presso il tribunale di Mâcon, per maltrattamenti e pratiche commerciali ingannevoli, rivolgendo inoltre un appello ai servizi veterinari e alla Direzione generale per la repressione delle frodi della prefettura di Saône-et-Loire.
“Le condizioni di vita miserevoli degli animali, infatti”, scrive L214, “sono chiaramente in disaccordo con la comunicazione dell’azienda: “terroir”, “tradizione”, “rispetto per gli animali”, “produzione tradizionale”, il tutto rappresentato da foto di capre all’aperto. Inoltre”, ed è il paradosso dei paradossi, “alcuni di questi formaggi beneficiano di una denominazione di origine protetta (Aop)”
Per questo L214 e i firmatari della petizione denunciano una comunicazione aziendale ingannevole che fuorvia i consumatori, e richiedono ai distributori di formaggi Chevenet e alla Federazione del Commercio e della Distribuzione di allontanarsi dai prodotti provenienti da allevamenti che esercitano le peggiori pratiche di allevamento.
31 ottobre 2022