
Le pubblicità delle bevande gassate sì, quelle dei formaggi no. È questo in estrema sintesi il pensiero dei vertici di TfL (Transport for London), la compagnia che amministra la metropolitana della capitale inglese e che gestisce gli spazi pubblicitari nelle 272 stazioni e sulle undici linee di cui la “Tube” si compone.
A renderlo noto, giovedì scorso 7 settembre, è stato Edward Hancock, amministratore e fondatore di CheeseGeek, che pochi giorni prima si era visto rifiutare una campagna pubblicitaria su prodotti alimentari che la concessionaria aveva bollato come “malsani”, in quanto le regole della stessa – presentate come salutistiche ma in sostanza fondate su luoghi comuni ed errori – sarebbero “orientate a ridurre l’obesità dei consumatori”.

I bozzetti dei cartelloni presentati per l’approvazione altro non facevano che promuovere l’e-commerce che l’azienda opera sul proprio sito web, senza particolari enfasi o messaggi fuorvianti.
Nel dare la notizia della “bocciatura”, Hancock, ha definito la decisione “ridicola”, giudicando errato un metro di valutazione che classifica i buoni formaggi artigianali assieme al “cibo spazzatura”. L’amministratore di CheeseGeek ha sostenuto di comprendere l’orientamento e l’intento di promuovere un’alimentazione sana, ma ha puntualizzato che l’approccio “binario” adottato – cibo “sano” o cibo “malsano” – sia eccessivamente semplificato.
“Perché vietare la pubblicizzazione di formaggi e consentire quella di alcolici e superalcolici?” È questa una delle riflessioni di Hancock che hanno acceso l’interesse dei maggiori media nazionali. «È davvero frustrante», ha aggiunto, «ed è il genere di cose che ci rende uno zimbello nel resto del mondo», dal momento che un’infinità di studi scientifici hanno dimostrato i benefici del consumo di formaggio.
L’imprenditore ha poi stigmatizzato l’aspetto forse più rilevante della cosa, vale a dire che «il risultato finale è che le persone vedono accadere cose del genere e pensano quindi che davvero il formaggio sia dannoso e che andrebbe evitato».
La risposta dell’azienda attraverso i commenti di due accademici
Ma non solo: l’azienda ha anche deciso di rispondere in maniera circostanziata attraverso le pagine del blog che accompagna il proprio e-commerce, e lo ha fatto argomentando puntualmente in un articolo i tanti motivi per cui il consumo del buon formaggio andrebbe incentivato e non contrastato. Il pezzo, che riporta informazioni e commenti di due accademici del Kings College di Londra – Sarah Berry del Dipartimento di Scienze della Nutrizione e Tim Spector, del Dipartimento di Epidimiologia Genetica – è intitolato “Is cheese bad for you? The esperts say no…” (“Il formaggio fa male? Gli esperti dicono di no…”) è davvero ricco di buona informazione, e può essere consultato qui in lingua italiana (traduzione Google).
Laconica e molto banale, infine, la controreplica della TfL: “La pubblicità in questione non era conforme alla nostra politica pubblicitaria, che utilizza il modello della Fsa (Food Standards Agency) per definire gli alimenti ad alto contenuto di grassi, zucchero e sale”. Un commento che evidenzia come un metodo di classificazione mal concepito possa generare anche danni indiretti, sul piano dell’informazione, oltre a quelli diretti, sul mercato.
13 settembre 2023