Stati Uniti: caseifici e stalle in ginocchio per le politiche di Trump sull’immigrazione

Protesta contro le espulsioni di migranti da parte del Governo Trump
foto Migrant Justice©

Se c’è un comparto produttivo, negli Stati Uniti, in cui in pochi giorni il consenso per il presidente Trump è precipitato ai minimi storici, quello è il lattiero-caseario. Che le aziende siano più o meno grandi, poco importa, già che – sia nelle stalle che nei caseifici – le mansioni più umili, raramente accettate dai lavoratori locali, sono storicamente svolti da messicani e sudamericani, il più delle volte irregolari.

In aziende che storicamente faticano a far quadrare i conti (tutto il mondo è paese) la manodopera a basso costo è fondamentale per il trasporto locale del latte, per movimentare le vacche, per mungerle, per effettuare i molti lavori che i robot ancora non compiono. È per spalare letame.

Certo, la situazione è tanto più esasperata quanto più grandi sono le stalle – alcune popolate da migliaia di vacche – e se solo si pensa che in poco meno del 3% delle aziende si produce circa la metà del latte, il quadro risulta abbastanza chiaro.

Sì badi bene: non stiamo parlando di pochi lavoratori, ma di intere comunità di latinos in ogni azienda. Immaginate cosa significhi gestire diverse centinaia – se non migliaia – di bovine e quanto ne consegue sia nei loro input (40-70 kg di foraggi al giorno) che nei loro output (35 kg di letame al giorno, pari a 120 q.li all’anno).

Politiche repressive mirate sui luoghi di lavoro

Sì consideri ora che le politiche repressive dell’amministrazione Trump (tutti abbiamo ancora negli occhi le immagini di fine gennaio in cui esseri umani in catene vengono imbarcati su voli cargo per essere espulsi dal Paese) non avvengono intercettando irregolari per le strade, ma prevalentemente attraverso veri e propri raid compiuti là dove questi “irregolari” si concentrano, vale a dire in prevalenza nei posti di lavoro.

Se si pensa poi che nel Nord-Est e nel Midwest del Paese stalle e caseifici sono condotti al 50-60% da latinos, mentre nel Sud-Ovest e nell’Ovest le loro percentuali salgono all’80%, non è difficile immaginare come ogni imprenditore del settore – quelli che ancora non sono stati colpiti dalle misure repressive – stia vivendo il momento attuale: operando in un mercato di per sé già in crisi, in attesa che i dazi complichino ancor più la situazione. E con la spada di Damocle di un raid che le forze dell’ordine potrebbero compiere – in qualsiasi momento di qualsiasi giorno – proprio nella tua azienda.

Azioni intensificate nel lattiero-caseario

Alcuni segnali lasciano intendere che l’amministrazione Trump starebbe intensificando le retate proprio nel settore lattiero-caseario. A fine di marzo, nello Stato di New York, agenti dell’Ice (Immigration and Customs Enforcement) hanno arrestato ed espulso quattro adulti e tre bambini prelevati in un’azienda del settore. Pochi giorni dopo la stessa Ice – attraverso una nota ufficiale – ha comunicato l’inizio di “operazioni mirate potenziate in alcune zone di New York”, che porteranno all’arresto di tutti i lavoratori non autorizzati che troveranno lungo il loro percorso.

A fine aprile, con precisione nel giorno dell’Easter Monday, lunedì 21, ancora una volta gli agenti dell’Ice hanno condotto quella che “Migrant Justice” – un gruppo sociale operativo nel Vermont – ha definito “la più grande azione di contrasto all’immigrazione contro i braccianti agricoli compiuta in quello Stato nella storia recente”, arrestando ben otto lavoratori in un’unica azione, compiuta presso la Berkshire Dairy, nella contea di Franklin (Vermont). Su questo caso proprio Migrant Justice ha lanciato nei giorni scorsi un appello per la raccolta di firme.

Varietà di immigrati e varietà di aziende

A questo proposito non bisogna incorrere nell’errore di credere che gli operatori del settore siano universalmente inclini all’illegalità, anzi tutt’altro. Da questo punto di vista però va considerato che il popolo dei migranti si compone – come si suol dire – di tre categorie: la prima è quella con i documenti in regola, le altre due con i documenti falsificati e senza documenti. In questa composita moltitudine umana – e nell’altrettanto variegata realtà degli imprenditori agricoli – si intercettano situazioni d’ogni tipo: dall’azienda iper-zelante, che non correrebbe mai il rischio di operare illegalmente, alla realtà che per far quadrare i conti accetta per buoni documenti falsi, all’azienda che neanche vuol vederli, i documenti.

Una situazione al momento senza soluzioni

Chi in passato abbia sperato di sopperire alla carenza di personale attivando misure nate per il reclutamento degli stagionali ha scoperto a sue spese che nessun espediente è possibile per prolungare la permanenza di un “lavoratore a tempo” e che nel concreto non si riesce mai a concatenare il congedo di uno di questi lavoratori con l’arrivo di un altro. Il settore lattiero-caseario non ha stagionalità: vi si lavora sette giorni su sette, 365 giorni l’anno, e la forza lavoro non può che essere stabile e adeguata alle mansioni richieste. Nel malcontento generale, il rimprovero che i più muovono all’attuale amministrazione è quello di non aver valutato le ripercussioni che misure drastiche come le espulsioni di massa possono comportare all’economia stessa del Paese.

Le proposte ragionevoli esistono. Verranno mai valutate da Trump?

Tra le associazioni di categoria c’è chi reclama un approccio diverso alla questione dei confini più caldi, proponendo che essi siano ciò che non sono mai stati, vale a dire non un “muro”, come l’amministrazione Trump ha deciso di fare, bensì un filtro. Un filtro che consenta a lavoratori selezionati e alle loro famiglie di vivere regolarmente negli Usa, per garantire loro una vita migliore e assicurare al mondo agricolo e manifatturiero statunitense la possibilità di operare – se non in maniera ottimale – perlomeno meglio di quanto oggi accada. O soprattutto rispetto alle nefaste prospettive che oggi il settore vive.

9 maggio 2025