
Se non fosse per il suo sindaco, e per la presenza del caseificio “Etoile du Vercors”, controllato dalla Lactalis, quello di Saint-Just-de-Claix sarebbe un paesino come tanti. Un tranquillo villaggio di 1.200 anime, nel dipartimento dell’Isère, 55 chilometri a sud ovest di Grenoble, sul margine occidentale del Parco Naturale Regionale del Vercors.
Ma il sindaco, Joel O’Baton, oltre ad essere il primo cittadino, è anche una persona battagliera, che da anni sta combattendo una dura campagna di denunce in favore dei suoi cittadini, dell’ambiente, del territorio. E questo perché il caseificio della Lactalis non gestisce i suoi reflui secondo le disposizioni di legge ma le scarica – udite udite – direttamente nel fiume Isère. Da diciassette anni.
La notizia, balzata in tutta evidenza dalle pagine del quotidiano Le Parisien di martedì scorso, ha riproposto la denuncia di Monsieur O’Baton, che parla di «uno scandalo ambientale che ormai dura da troppo tempo». «Lactalis si rifiuta di connettersi alla rete fognaria pubblica che arriva di fronte all’impianto. L’acqua di scarico della lavorazione del formaggio viene quindi versata nell’Isère».
«Ci sono i residui del latte», incalza il sindaco, «ma anche i prodotti di pulizia e disinfezione. L’inquinamento è equivalente a quello di una città di 10.000 abitanti. E lo Stato ha lasciato che così fosse. È una situazione che non può più durare».
Lo sconcerto maggiore, di fronte alla gravità della vicenda, lo si ha se solo si cerca in rete qualche ulteriore informazione, perché a saltare fuori sono articoli e articoli risalenti al 2014, se non anche a date ancor più remote.
Perché questo accade e continua ad accadere, da anni, senza che nessuno intervenga? A proporci una risposta sono i silenzi dei diretti interessati: interpellati dalla stampa francese, hanno deciso di non rispondere sia i vertici della Lactalis che la competente Prefettura.
Le ultime interlocuzioni, da parte della società, risalgono al 2014, quando l’azienda aveva proposto di dotarsi un impianto autonomo di trattamento delle acque reflue nelle sue pertinenze, proposta che era stata accantonata dall’amministrazione pubblica in quanto ben diciannove comuni della zona avevano appena investito in un impianto del genere, che può e deve, di logica, essere utilizzato anche dal caseificio. Tant’è che un punto di attacco venne creato, affinché il caseificio si allacciasse, ma di fronte alla tassa richiesta per il servizio ogni dialogo era caduto.
A nulla valsero le riunioni pubbliche indette sul tema, a cui buona parte della cittadinanza partecipò: invitati ufficialmente, i rappresentanti dell’azienda avevano deciso di non partecipare. Troppo alta la cifra richiesta di 1,15 milioni di euro per dieci anni? Se è vero com’è vero che tutto è relativo, per un caseificio che annualmente fattura oltre 50 milioni di euro, l’impegno apparirebbe possibile, oltre che obbligatorio.
Nel frattempo, la Frapna (Federazione per la conservazione della natura del Rodano-Alpi) ha deciso di presentare una denuncia, che però non sarebbe la prima, e che rischia di essere anch’essa inascoltata, come le precedenti. «E ‘incomprensibile», ha sottolineato uno dei suoi referenti, Jaques Pulou, «che un gigante globale come Lactalis continui a inquinare l’ambiente, e che nessuno lo costringa a rispettare la normativa».
Nella speranza che una storia di tale gravità trovi al più presto una soluzione, resta palpabile l’indignazione. La vicenda lascia sgomenti tanto i cittadini francesi quanto le sensibilità ambientaliste tutte. E ancor più, le migliaia di imprenditori agricoli o artigiani con piccoli caseifici che – quelli sì! – subiscono regolarmente le pressioni di normative a volte inutili, altre volte inadeguate (perché nate per l’industria). Persone, ancor prima che imprenditori, che di fronte al rischio di vedersi revocare la licenza o di essere multati (perché il cavillo, volendo, lo si trova sempre per elevare una sanzione, ndr) debbono appellarsi al “buon cuore” del funzionario, alla sua permissività, in una situazione che lascia un intero comparto in un equilibrio sempre più precario.
A vantaggio di chi, tutto questo? Dell’industria che oltre a proporre prodotti scadenti, da anni ci inquina?
16 ottobre 2017