La settimana scorsa ha registrato la sorprendente marcia indietro delle autorità sanitarie cinesi, che ad un mese e mezzo di distanza dai provvedimenti restrittivi sui formaggi con muffe in crosta e in pasta, sono tornate sui loro passi, annullando una misura restrittiva che a metà settembre era stata comunicata con grande enfasi e risolutezza.
A margine della notizia – salutata con grande sollievo da imprenditori operanti tanto nella Repubblica Popolare Cinese quanto nel Vecchio Continente – si sono diffuse rapidamente indiscrezioni secondo cui le preoccupazioni innescate nel corso dell’estate tra i burocrati di Pechino a proposito della forte presenza di batteri sarebbero state confutate dall’autorevole intervento di delegazioni di Paesi europei supportate da autorevoli esponenti del mondo scientifico.
Tra le tesi non-scientifiche (ma diplomatiche) addotte dalla delegazione europea, quella che pare abbia sortito il maggior effetto ha riguardato una considerazione inconfutabile: “perché bloccare per ragioni sanitarie quelle tipologie di formaggi se nella stessa Cina se ne stanno producendo di analoghi?”
Al momento non sarebbero trapelate che notizie di corridoio e non ufficiali, dal momento che l’agenzia cinese che aveva disposto il provvedimento di blocco – l’Amministrazione generale della sorveglianza della qualità, dell’ispezione e della quarantena alimentare – non ha ancora risposto ufficialmente alla richiesta di spiegazioni degli esponenti europei.
Sarà interessante vedere adesso quali argomentazioni verranno addotte ufficialmente dall’amministrazione sanitaria cinese, dal momento in cui all’atto del provvedimento di blocco il caso fu ufficialmente dichiarato “di soluzione non rapida”.
30 ottobre 2017