La notizia circolava da alcuni giorni come indiscrezione, ed è stata finalmente confermata: a cavallo tra la fine dell’anno passato e l’inizio di quello in corso, Kraft Foods Group Inc. ha presentato una domanda ai competenti organi statunitensi per iniziare a produrre una nuova crema di formaggio. Come se la Philadelphia già non bastasse. Più in particolare si tratta di un brevetto internazionale relativo ai metodi di produzione di una crema spalmabile ad alto contenuto proteico.
La domanda che ci sorge spontanea riguarda la necessità di uno pseudo-formaggio come questo: il mondo ha bisogno di un tale prodotto? All’apparenza parrebbe di no, ma le motivazioni, ancora una volta, nascerebbero dal marketing e – ancor prima – dal monitoraggio e dallo studio del comportamento dei consumatori. È evidente che la strategia avviata per imporre al mercato la Philadelphia attraverso il restyling della confezione (bordi arrotondati, ricordate, nel 2009?) e il lancio di un sito web dedicato al prodotto (nello stesso anno) ha portato i vertici del colosso Usa a monitorare i motivi di un successo, a vedere cosa ci sarebbe di migliorabile e ad agire nell’intento di soddisfare la clientela. Elevando, con poco, pochissimo investimento, i propri già cospicui guadagni.
In sostanza, interpretando le prime indiscrezioni trapelate dai piani alti della Kraft, ci sarebbe spazio per una crema in grado di superare gli attuali “problemi di texture e di levigatezza”. I tecnici del colosso statunitense si sono messi quindi al lavoro (se ne conoscono persino i nomi: Janet Batz, Paloma Carrington-Bataller e Isabelle Marie Francoise Laye) e nel breve tempo di alcune settimane hanno raggiunto il risultato voluto; l’esito dei primi panel test sarebbe stato già positivo: il prodotto soddisfa gli occhi e il palato dei degustatori, e gli strizzacervelli aziendali hanno già individuato gli argomenti con cui farlo entrare nelle teste, nei cuori e soprattutto nelle consuetudini di milioni di persone: ne verrà enfatizzato il contenuto in proteine, raddoppiato – e più vicino al fabbisogno medio giornaliero della donna (46gr) e dell’uomo (56gr) statunitensi – oltre alla tanto apprezzata (pare) cremosità. Poi, e sarà solo questione di tempo, il prodotto sarà pronto per raggiungere anche le tavole europee.
Nulla però si dovrà sapere delle condizioni in cui si nutrono e vivono le vacche dal cui latte provengono gli ingredienti, anche perché poi, ad andare a leggere quelli, sarà il solito assemblaggio di derivati del latte, mica solo di latte! Ma quella in fin dei conti è un’altra storia: a non farci pensare troppo male di un simile formaggio provvederà un esercito di foodblogger, pronto ad ogni occorrenza per sostenere le vendite e la promozione dei big, per qualche soldo di cacio. Certo, un buon budget ci sarà come al solito per i nomi ormai noti; ai loro “soldatini” basterà anche solo un po’ di prodotto in omaggio. E ai più “fortunati” tra di essi, l’ennesima comparsata nel prossimo spot pubblicitario.
9 febbraio 2015