Le lobby esultano: fumata nera a Bruxelles per l’origine in etichetta

Anche sui barili di rum, da sempre, è indicata l'origine. Sui derivati del latte no - foto Erik Charlton - Under Creative Common License©In barba alla pressione popolare che la richiede da anni, sull'orizzonte delle normative comunitarie – ancora per qualche anno almeno – non apparirà alcun obbligo di indicare in etichetta l'origine della materia prima per i prodotti lattiero-caseari. È quanto emerge dal rapporto pubblicato mercoledì scorso 20 maggio dalla Commissione europea, che preferisce optare per una scelta volontaria, piuttosto che su un'imposizione, che evidentemente è malvista da molti produttori.

Secondo Enrico Brivio, portavoce per la salute e la sicurezza alimentare della Commissione europea, «L'etichetta d'origine volontaria è consigliabile perché non impone carichi amministrativi non necessari alle autorità nazionali e agli operatori del settore». Questa almeno la versione ufficiale. A questo punto l'iter prevede che i rapporti dell'esecutivo Ue vengano inviati all'Europarlamento e al Consiglio dell'Unione Europea, per una eventuale discussione in materia.

Oltre ai derivati del latte la notizia riguarda anche carni di cavallo, cacciagione, coniglio (afferenti tutti ad un primo rapporto) e pasta, zucchero, riso, passata di pomodoro e succo d’arancia (relativi a prodotti realizzati con almeno il 50% di un ingrediente).

Tutto ciò nonostante le frodi in materia siano sempre più all'ordine del giorno, e in barba ai sondaggi effettuati dai ministeri agricoli dei Paesi europei. L'ultima consultazione pubblica sull’etichettatura condotta dal Mipaaf (novembre 2014-marzo 2015; ne parlammo: leggi qui) è stata eloquente, coinvolgendo 26.547 italiani che nell’89% dei casi ha definito "ingannevole" la mancanza di tracciabilità in etichetta sui derivati del latte. Questa consultazione è stata promossa in base ad un regolamento comunitario (il n.1169 del 2011) entrato in vigore alla fine del 2014, che consente ai singoli Stati membri di "introdurre norme nazionali in materia di etichettatura obbligatoria d'origine geografica degli alimenti, qualora i cittadini esprimano in una consultazione parere favorevole in merito alla rilevanza delle diciture di origine ai fini di una scelta di acquisto informata e consapevole”.

Tra i modesti progressi registrati in materia nell'ambito comunitario, dal primo aprile 2015 l’obbligo di indicare in etichetta il luogo di allevamento e di macellazione delle carni di maiale, capra e pecora. In base invece alle norme nazionali, i pochi progressi compiuti nel nostro Paese riguardano l’obbligo di indicare varietà, qualità e provenienza nell’ortofrutta fresca (dal 2003, quasi sempre disatteso sui banchi della Gdo), il codice di identificazione per le uova (gennaio 2004), il Paese d'origine del miele (agosto 2004), la zona di mungitura per il latte fresco (giugno 2005), l’indicazione di "pollo allevato in Italia" (ottobre 2005) e il Paese di origine per passata di pomodoro (gennaio 2008).

Un'Italia quindi che cerca di garantire un po' più di altri Paesi i propri consumatori, ma che continua a "normare" a seguito di gravi scandali (le date qui indicate sono legate a vicende quali l'aviaria e lo scandalo dei pomodori cinesi nei porti del nostro Meridione) e senza essere in definitiva troppo incisiva (il "dove" è utile, ma lo sarebbe molto di più il "come").

25 maggio 2015