Stati Uniti: verso il ”no” alla denominazione ”latte vegetale”?

foto Pixabay©Il fenomeno dei cosiddetti "latti vegetali" ha registrato nel 2016 un'ulteriore crescita, tanto nel mercato europeo quanto in quello nordamericano. Stiamo parlando del latte di mandorla (e di riso, avena, canapa, soia, etc.), dello yogurt di riso (etc.), del "formaggio" di soia, e di un'infinità di altre merci che utilizzano denominazioni palesemente non appropriate ai prodotti medesimi, che nulla hanno a che vedere con il latte (liquido secreto dalle ghiandole mammarie dei mammiferi, ndr) dal momento che si tratta di semplici bevande e dei loro derivati (creme, etc.), tutti di origine vegetale.
 

La vicenda, lungi dal rappresentare unicamente una questione di carattere lessicale, tocca interessi di dimensioni iperboliche, di fronte ai quali i maggiori attori delle filiere produttive interessate (associazioni di allevatori, industrie di produzione, etc.) si sono da tempo espresse (già nel 2010, quando la statunitense National Milk Producers Federation si appellò all'FDA; leggi qui, in lingua inglese) senza poi ottenere i risultati sperati.
 
La forte contrazione del mercato e le ingenti perdite registrate dalle aziende nel biennio 2015-16 hanno così spinto il mondo della politica statunitense ad interessarsi della questione. È così accaduto che un gruppo di trentadue politici del Congresso Usa, appartenenti ad entrambi gli schieramenti, abbiano indirizzato, la settimana scorsa, una ferma lettera al commissario della Food and Drug Administration sottolineando la necessità di una etichettatura più accurata per i prodotti di origine vegetale che vengono proposti come sostituti del latte.
 
Nella missiva è sottolineato quanto termini come "latte" (e "yogurt" e "formaggio") siano fuorvianti per i consumatori, dannosi per l'industria casearia e più semplicemente che vìolino la norma governativa sull'identità del latte. I trentadue firmatari hanno quindi richiesto alla Fda di esercitare la propria autorità legale per indagare e prendere le misure più appropriate per far sì che questo fenomeno cessi.
 
A proposito degli standard federali statunitensi sull'identità del latte, essi stabiliscono che tale materia prima e i suoi derivati provengano da animali. I prodotti vegetali, dal canto loro, hanno origine nel mondo vegetale e nulla a che fare con il mondo animale, per cui l'uso del termine "latte" può indurre idee sbagliate tra i consumatori, sino a portarli a credere che abbiano valori nutrizionali simili, e in quanto tali possano sostituirlo.
 
Sulla questione è intervenuto Beth Briczinski, vicepresidente della NMPF, sottolineando che «Da parte nostra non abbiamo mai detto che tali prodotti non dovrebbero essere commercializzati. Il nostro governo ha introdotto degli standard per molti alimenti per far sì che i prodotti d'imitazione non possano sembrare ciò che non sono, in particolare quando il loro contenuto nutrizionale varia ampiamente – e spesso è inferiore – al prodotto che stanno imitando».
 
Oltre alle tante menzogne sui valori nutrizionali di queste bevande, avallate con la compiacenza dei media, esistono poi diversi altri risvolti su cui bisognerebbe fare chiarezza, nell'interesse dei consumatori, a cominciare dalla materia prima che viene utilizzata per produrre quelle bevande: scarti di mandorle, scarti di soia, scarti delle lavorazioni del riso o dell'avena, acquistati a prezzi di mercato assai ridotti e i cui prodotti derivati sono venduti ad un pubblico sempre ben disposto a pagarli oltre il lecito.
 
Inoltre, ed è questione che pare verrà presa in esame dalla Fda, alcuni degli alimenti denominati "milk" o "cheese" sul mercato statunitense sarebbero etichettati con differenti denominazioni quando destinati ad altri Paesi come il Canada e il Regno Unito. Ora che la politica ha finalmente deciso di impegnarsi in prima persona, gli operatori del settore lattiero-caseario degli Stati Uniti sono fiduciosi che si possa raggiungere, finalmente, qualche risultato.
 
Ce lo auguriamo quanto loro.
 
6 febbraio 2017