Il tema dell’etichettatura alimentare, che sino a poche settimane fa ha affollato le pagine dei nostri giornali sino alla trombatura del ddl italiano in quel di Bruxelles, torna in scena, anche se all’altro capo del mondo. Le problematiche del mercato sono diverse, il mercato stesso è molto differente dal nostro, perché l’Australia, assieme alla Nuova Zelanda, rappresentano un polo lattiero e zootecnico di smisurate dimensioni, in grado di influnzare via via nel tempo gli assetti dei mercati di ogni altro continente.
Ed è proprio in Australia che nei giorni scorsi, una senatrice di nome Nola Marino ha presentato un’interpellanza parlamentare che rischia di mettere a soqquadro buona parte del mondo della zootecnia da latte del Paese, partendo da fatto che tra i latti freschi reperibili nei punti vendita australiani, quelli più a buon mercato utilizzano additivi di vario genere e persino ingredienti di scarto, grazie ai quali i produttori sono in grado di proporre prezzi molto bassi, spesso sotto il tetto del dollaro.
In particolare la Marino punta il dito contro il permeato, sostanza con bassissimi costi di produzione, ricca di lattosio e ottenuta dalla ultrafiltrazione del latte e che, si legge nell’interpellanza, “è utilizzata anche sino al 12% del prodotto finito”. «Alcuni produttori», sostiene la senatrice, «stanno usando permeato; io voglio leggerlo in etichetta». In altre parole, insiste la Marino, «non deve accadere che il consumatore acquisti una confezione con su scritto solo “latte fresco” se dentro ci sono additivi; questi additivi vanno dichiarati».
La risposta delle industrie non si è fatta attendere, ed è arrivata per bocca del presidente della Wa Farmer Federation, Peter Evans, secondo cui «il permeato è usato dai tempi dei tempi per standardizzare il latte e non per diluirlo, essendo un prodotto nutriente, salutare e legale, che non va considerato un additivo» in quanto derivato dalla lavorazione stessa del latte.
Opinione discutibile e di parte, quella di Mr. Evans, facilmente confutabile (se ce ne fosse la volontà politica) dalla verifica della reale percentuale di permeato utilizzato per capire se dietro quel termine di “standardizzazione” esista qualche segreto di pulcinella oppure no.
Nel frattempo anche in Australia gli allevatori sono strangolati dalle industrie con un prezzo del latte alla fonte che in molti casi, per via degli aumentati costi di produzione, non riesce a coprire più neanche le spese. Come si vede tutto il mondo è paese, e la globalizzazione dei prodotti e dei consumi sta mettendo in ginocchio la zootecnia mondiale.
11 marzo 2011