Si è conclusa la settimana scorsa in Canada una delle più lunghe battaglie legali mai avvenute in quel Paese nell’ambito delle produzioni casearie industriali, e a pagare il conto, dopo quattro anni di dispute e cavilli, ora saranno le imputate Kraft e Saputo, che si sono viste respingere dalla Corte Suprema del Paese l’ennesimo ricorso presentato in loro discolpa.
La vicenda, avviata nel 2007 e riguardante la natura della caseina utilizzata nella produzione dei formaggi, ha avuto come centro focale della questione l’origine dei caseinati utilizzati – provenienti da siero e non da latte – e i costi di produzione, che le industrie tendono a voler comprimere il più possibile, a dispetto spesso delle normative vigenti.
In sostanza, la Corte Suprema del Canada si è rifiutata di esaminare l’ennesimo ricorso delle due imprese, invitando esse al rispetto delle norme federali, che richiedono ai produttori di utilizzare un latte più ricco di grassi e di ridurre la percentuale di ingredienti comunemente definiti “latte solido”.
Dal canto loro, i legali delle due aziende hanno affermato che nelle intenzioni della Corte si legge la “volontà di affermare gli interessi degli allevatori a discapito delle industrie di trasformazione”.
In sostanza, le norme produttive vigenti in Canada prevedono una “casein ratio” per ogni tipologia di formaggio, che la caseina sia originata da latte e non da siero e che la sua percentuale non superi determinate soglie per ogni tipologia di prodotto.
Inoltre, il Quadro normativo di Impatto Analitico previsto dai dispositivi di legge vigenti in materia dal 2007, prevede che “rese più elevate e risparmio economico” siano possibili usando più alti livelli di “latte solido” ma ammonendo i produttori ad evitare il rischio di perdere le tipicità organolettiche, chimiche e fisiche delle diverse varietà di formaggio.
Se questo è quel che ci aspetta in futuro anche in Italia, col rischio di un’ulteriore apertura all’uso dei caseinati, i nostri governanti, tecnici o politici che siano, faranno bene a guardare a quel che accade oggi in Canada per scongiurare il rischio che il tanto decantato “made in Italy” non rimanga un solo ricordo, oltre che un modo di dire.
2 dicembre 2011