Il formaggio di latte di cammella guarda al mercato mondiale

Il formaggio di latte di cammella non è una novità, ma si prepara a bussare prepotente alle porte dei mercati europei e americani. Di certo nessuno sbarco imminente, ma a Dubai un’azienda locale ha deciso di fare le cose in grande millantando dalle colonne di “The National” agganci presso una non meglio precisata “casa reale degli Emirati Arabi Uniti” e il mondo della ricerca lattiero-casearia di quel Paese. Sproloquiando contro i formaggi di vacca “tout court”.

Negli Emirati gli investimenti in cammelli e caseifici degli ultimi anni ammontano a quaranta milioni di dollari, secondo le stime di Nancy Abeiderrahmane che con l’azienda Tivisky in Mauritania produce il Caravane, una sorta di “brie” di latte di cammella. E secondo la Abeiderrahmane lo sbarco di questi formaggi in Europa sarebbe prossimo, perché il Paese è ricco, e può permettersi di pagare gli onerosi test sanitari richiesti da Usa e Unione Europea.

Dalla Camelicious di Dubai, intanto, si viene a sapere che i loro formaggi hanno ricevuto il sigillo reale di approvazione, essendo stati testati dagli chef di una delle famiglie reali degli Emirati. Una famiglia non regnante, ben inteso, visto che gli Emirati Arabi Uniti sono – se possibile – una confederazione di sceiccati, con un governo centrale dai poteri molto labili.

Difficile dire cosa vi sia dietro la dichiarazione che il vicedirettore della Camelicious Mutasher Al Badry ha reso al portale The National: «Il latte di mucca contiene sostanze artificiali e industriali che noi non vogliamo mettere nel nostro formaggio di cammella, per offrire un prodotto di alta qualità». Peccato che per coagulare il latte di cammella occorra il fosfato di calcio, che si ottiene normalmente per sintesi chimica, a meno di non voler utilizzare ossa bruciate.

Come se ciò non bastasse Al Badry millanta recenti ricerche di imprecisati scienziati degli Emirati, durate tre anni e finalizzate ad ottenere un buon coagulo del latte. In realtà “l’invenzione” risale al ’92 e fu sponsorizzata dalla Fao (leggi qui), ma evidentemente Al Badry non vuole avere nulla a che fare con quella scoperta, perché ciò lo porterebbe ad ammettere l’utilizzo del suddetto fosfato.

Ad aprile sul mercato interno
A questo punto una sola cosa sembra essere certa: ad aprile i supermercati degli Emirati Arabi Uniti Spinneys, Union Co-op e Abu Dhabi Co-op saranno invasi da tre tipologie di formaggio Camelicious, ottenuto con latte di cammella: da insalata, da tavola e da cucina. Il formaggio da insalata ha un sapore simile alla feta, con una texture cremosa, mentre quello da cottura potrebbe ricordare la mozzarella, ma con un interno più morbido.

La resa del latte è bassa e il formaggio sarà costoso – anche se i prezzi devono ancora essere annunciati – e verrà venduto solo nei supermercati. La partenza sarà in sordina, visto che il programma prevede per i tre tipi di formaggio la trasformazione di appena mille litri di latte al giorno, tutti provenienti della medesima fattoria: «Ne produrremo una quantità molto bassa nel primo anno», ha tenuto a precisare Al Badry, «perché non abbiamo abbastanza latte e registriamo già una forte domanda».

Alla Camelicious pensano di fare le cose in grande: portare la mandria da tremila a seimila cammelli in pochi anni, comprandone anche all’estero, al fine di selezionare razze dalle quali sia possibile ottenere fino a dodici litri di latte al giorno per capo.

Una strategia per l’export
Sull’export Al Badry non si sbilancia: «Abbiamo in programma di esportare tutti i nostri prodotti, ma per ora intendiamo soddisfare la domanda interna di latte e formaggio».

Riusciranno i signori della Camelicious a vendere i loro prodotti fuori dai confini nazionali? Forse sì, ma al momento il “tipo brie” prodotto in Mauritania dall’azienda Tivisky di Nancy  Abeiderrahmane – il Caravane – resta confinato in quel Paese:  a causa dell’alto costo dei test sanitari per esportare in Ue e Stati Uniti. In Mauritania, dove l’afta epizootica non è ancora stata debellata, non esistono ancora laboratori per i test necessari a certificare la salubrità dei formaggi. E il ricorso a laboratori esteri porterebbe quei formaggi fuori mercato con il prezzo.

 

di Mimmo Pelagalli

26 gennaio 2012