Quella che da noi in Italia è ancor oggi una marginale conquista di pochi e illuminati consumatori – lo “sharing” o condivisione in campo automobilistico, più propriamente detto “car sharing” – negli Stati Uniti potrebbe presto diventare il più straordinario metodo per sostenere la commercializzazione di latte crudo.
Stanchi di subire i ripetuti attacchi contro la vendita di latte sfuso non pastorizzato, gli allevatori coinvolti in questo tipo di produzione e i consumatori che desiderano garantirsi un prodotto dai requisiti nutrizionali superiori rispetto al comune prodotto industriale, stanno vedendo di buon occhio il recente disegno di legge del senatore repubblicano John Schickel, teso alla condivisione di una o più vacche, col fine ultimo di trarne i prodotti derivati.
L’escamotage permetterebbe di aggirare il divieto di commercializzazione di latte crudo (e di formaggi con esso prodotti) vigente attualmente in alcuni Stati Usa, come il Kentucky in cui lo stesso Schickel vive e svolge la sua attività. Certo che la strada per la condivisione di una vacca non sarà priva di ostacoli, visto che – tanto per iniziare – il pronunciamento del Senato in materia è stato stranamente ritardato senza una reale motivazione apparente.
Nonostante questo l’autore del disegno di legge è apparso fiducioso, sottolineando che «c’è un intero movimento – in Kentucky e in tutto il Paese – di persone desiderose di mangiare sano e di accorciare la distanza che li separa dal proprio cibo».
Ma al tempo stesso, gli oppositori non perdono tempo per affermare che il disegno di legge potrebbe essere pericoloso per la salute pubblica. La condivisione di vacche rappresenta «un passo verso la legittimazione della vendita di latte crudo ai consumatori, e noi siamo contrari ad una prospettiva del genere», ha sottolineato Maury Cox, direttore esecutivo del Kddc (Kentucky Dairy Development Council).
In sostanza Cox e il suo gruppo non vedono nulla di preoccupante nella condivisione di una vacca tra più consumatori ma si dicono preoccupati per un’iniziativa che potrebbe portare alla vendita di latte non pastorizzato.
Ad ogni buon conto, secondo quanto affermato alla stampa da John-Mark Hack della Market Farm Marskbury di Lancaster, in questo momento non ci sarebbero ostacoli ad un disegno di legge del genere, «in quanto la proprietà comune non è illegale, anche se ad oggi non viene riconosciuta». Hack ha anche aggiunto che nella sola cittadina di Lexington (270mila abitanti) almeno ottanta famiglie avrebbero espresso interesse ad aderire all’iniziativa per ottenere latte e formaggi freschi di qualità.
Secondo Cox, che ha ricordato il recente caso di campylobacter che ha colpito trentotto persone in Pennsylvania, «bere latte non pastorizzato può essere pericoloso, soprattutto per i bambini e gli anziani, per il rischio di contrarre tubercolosi, brucellosi, escherichia coli e salmonella».
A controbattere queste teorie è tornato nei giorni scorsi l’avvocato Sally O’Boyle di Lexington, il quale, oltre a ricordare che il latte crudo è venduto in molti Stati Usa, ha anche sottolineato – e questo aspetto è davvero illuminante circa la gratuità della battaglia che da molte parti gli si fa – che la sua presunta pericolosità non è superiore a quella di meloni e spinaci, a cui di recente sono stati attribuiti negli Usa focolai di malattie alimentari.
O’Boyle, che ha confessato di essere un grande consumatore di latte crudo, ha difeso l’intento del disegno di legge presentato dal senatore Schickel, asserendo che esso «non fa altro che proteggere gli accordi tra agricoltori e consumatori: un contratto con un contadino, il “noleggio” di una mucca, un piccolo compenso per contribuire alla sua alimentazione e alla sua salute, e in cambio i suoi prodotti freschi».
Ragioni inossidabili contro cui vedremo come si armeranno le lobby industriali sempre pronte a mettere in campo personaggi di ogni genere per osteggiare l’accorciamento della filiera alimentare.
11 febbraio 2012