20 giugno 2008 – Mentre le Regioni italiane continuano ad aggiornare lacunosissimi elenchi di Pat (Prodotti Agroalimentari Tradizionali), talvolta infarciti di qualche “fantasia” e di non poche “cantonate”, alcune straordinarie rarità tuttora prodotte rischiano immeritatamente di cadere nell’oblìo.
Quei “sierazi prealpini”, ad esempio, caratterizzati dall’aggiunta di latte, e narrati già nel 1477 da Pantaleone da Confienza nel suo Summa Lacticiniorum sono ancora tra di noi e non tutti se ne sono accorti, mancando a volte della opportuna valorizzazione.
Bene è andata a quelli piemontesi (Seirass del fen, Seirass stagionato, Seirass di siero di pecora, Seirass di latte e, nell’area a nord-est e una “Mascarpa” di chiara ispirazione lombarda) perché la Regione si è accorta di loro. Male, anzi malissimo, a quelli lombardi, dimenticati dal proprio ente regionale e non inseriti tra i Pat regionali, tra cui figura però – ironia della sorte – il Mascarpìn di Chiavenna.
Ma vediamo dove e come viene prodotta la vera Maschèrpa del muunt (d’alpeggio). L’area d’elezione è quella delle Valli del Bitto, dove al siero viene aggiunto un bel secchio di latte di capra. Posta a scolare nei garoc’ di legno, come secoli fa (foto sopra a destra), la Maschèrpa viene poi messa a stagionare nelle maschèrpere, locali ben ventilati posti al di sopra della caséra di prima stagionatura (che è seminterrata, e dove va il Bitto).Qui vengono salate (foto sopra a sinistra) e rivoltate regolarmente.
La mascherpéra è caratterizzata da una serie di strette aperture su tre lati, regolando le quali si garantiscono al prodotto ventilazione e umidità ottimali.
Ed è proprio nell’ambito della stagionatura che la Maschèrpa subisce un secondo gravissimo affronto, “figlio degenere” dei cosiddetti “adeguamenti igienici”. La velleità di “migliorare” gli ambienti e l’incapacità a dialogare con i produttori, hanno portato alle ristrutturazioni “selvagge”, in cui il burocrate di turno ha spesso deciso di fare di una mascherpéra una camera da letto – superflua – per i “caricatori d’Alpe”.
E per una maschèrpera che viene “cancellata”, un’altra è resa inservibile se il tetto di piode è rimpiazzato dai fogli di lamiera, che oltre ad essere esteticamente osceni, surriscaldano l’ambiente e impediscono la regolare ventilazione. Il risultato è che alcuni produttori, scoraggiati, hanno smesso di farne, mentre altri si vedono costretti a venderla fresca (ma il prodotto raggiunge la sua piena maturità e godibilità con una media stagionatura, quando emerge schietta quella complessità del gusto che solo il pascolo può dare). La Maschèrpa de muunt, classico frutto dell’estate e piccola-grande gioia dell’autunno, rischia di scomparire, e stavolta non per “sfortuna”.
di Michele Corti
docente di Sistemi Zootecnici all’Università degli Studi di Milano