L’inciucio dei sindaci spinge il Bitto in quel di Branzi

La politica, quando ha interessi, è capace di gradi strategie e convergenze, ma quando ci sono in ballo le ragioni e i diritti di base spesso è latitante, se non distratta da ambizioni particolari o personali. È quanto accade ed è accaduto per l’annosa questione del Bitto storico, in cui la Regione Lombardia, la Provincia di Sondrio, e i Comuni di Gerola e Albaredo, si sono comportati nel tempo diversamente da sé stessi e da ciascuno degli altri, riuscendo a non trovare un piano condiviso per tutelare i caricatori d’alpe più autentici e rigorosi, sino a vederli migrare, pur temporaneamente, altrove.

Il clima di pacata apertura che si era registrato a livello regionale e provinciale negli ultimi mesi, concretizzato dalla presenza del presidente della Provincia Massimo Sertori alla Sagra del Bitto di Gerola domenica scorsa, è stato ora spazzato via da quello che appare come un inciucio tra i sindaci dei due comuni: quello di Albaredo, Patrizio Del Nero (che già da tempo aveva “tradito” la causa del Bitto storico), e quello di Gerola, Fabio Acquistapace (che ai tempi dell’uscita dei produttori dal consorzio della Dop aveva attaccato il collega schierandosi con le ragioni dei “duri e puri”).

In occasione della sagra di Gerola, quindi, il colpo di scena, con i due primi cittadini che hanno deciso di riammettere i due produttori della valle di Albaredo (“i traditori”, per quelli di Gerola, dopo il voltafaccia con cui decisero, anni fa, di non essere solidali con loro), come se nulla fosse accaduto negli ultimi anni. Una sorta di “volemose bene” imposto dall’alto e soprattutto una soluzione inaccettabile per i produttori storici delle Valli del Bitto, che per far valere le loro sacrosante ragioni hanno di recente costituito un consorzio alternativo a quello del Casera e Bitto, con l’ambizione di rientrare nel novero delle Dop mantenendo il metodo tradizionale e la loro autonomia. E che ad oggi hanno perso il diritto a chiamare il loro formaggio col proprio nome.

A destra Paolo Ciapparelli, presidente del Consorzio per la Salvaguardia del Bitto Storico. Sulla sinistra Gino Cattaneo, titolare del ristorante La Brace di Forcola, grande esperto ed estimatore del Bitto della tradizione«I produttori sono disgustati», tuona Paolo Ciapparelli, presidente del Consorzio per la Salvaguardia del Bitto Storico, «anche perché non erano stati neppure interpellati e la loro reazione a queste manovre si è concretizzata nel rifiuto a ritirare i tradizionali premi per i casari».

Sul palco, i politici e gli amministratori, e i due casari dell’altra vallata, in una situazione che lo stesso Ciapparelli ha descritto come «imbarazzante per il presidente della Provincia Massimo Sertori, con il quale ci scusiamo in quanto di certo non ce l’avevamo con lui».

Certo che quest’aria di accordi attorno agli interessi della Comunità Montana fra il sindaco di Gerola e quello di Albaredo alimenta le fantasie popolari attorno all’episodio in sé stesso e alla gravità di quel che ne conseguirà. «Il Bitto non si svende per una poltrona», incalza Ciapparelli, «e il Bitto storico esiste indipendentemente dalle poltrone. Questi accordi, fra amministratori di paese non ci piacciono e hanno creato grande malcontento. I produttori storici sono autonomi e fanno parte di un Consorzio alternativo a quello diretto da Del Nero (che è anche presidente del multiconsorzio “Valtellina che gusto”, a cui fanno capo i consorzi locali istituzionali). Per questo alla Sagra, pur portando i loro prodotti, perché la gente non va penalizzata, hanno boicottato il momento ufficiale delle istituzioni».

Ma il peggio deve ancora avvenire, per la Valtellina tutta e per le istituzioni provinciali e regionali, perché oltre il rifiuto del premio, la vicenda avrà una ripercussione che appare incontrovertibile e gravissima: il Consorzio del Bitto storico boicotterà l’annuale Mostra del Bitto di ottobre, preferendo a quella la Fiera di San Matteo a Branzi (in Val Brembana, provincia di Bergamo, da oggi a domenica prossima), anche in nome di una rivalutazione di quella piazza che per secoli è stata, nei secoli andati, il principale crocevia mercantile lombardo e uno dei più importanti del nord Italia.

Paolo Ciapparelli«È da un po’ che meditiamo di portare la Mostra del Bitto a Branzi, conclude amareggiato Ciapparelli. «C’è la storia dietro a questa decisione e non solo la polemica». E il perché è presto detto: alla Fiera di San Matteo di Branzi, a fine settembre, confluiva in passato la maggior parte della produzione di Bitto-Branzi (un tempo due nomi ma una stessa produzione, che veniva venduta a partite ai “neguziant”, e poi inviata alle stagionature di Bergamo n.d.r.). Il Formai de Mut e il Branzi sono ben contenti di accoglierci tra i formaggi orobici. A duecento anni da quando Napoleone tolse il confine sulla cresta delle Orobie faremo sapere di stare meglio nelle valli lecchesi e bergamasche che non nella provincia di Sondrio dalla quale siamo costretti a distaccarci. E chi lo sa che un giorno non faremo fare anche delle nuove cartine geografiche…

L’ultima chicca che ci dà Ciapparelli prelude forse a future scintille: «Al prossimo Salone del Gusto», conclude il presidente del Consorzio per la Salvaguardia del Bitto Storico, «abbiamo richiesto lo stand di fronte a quello “istituzionale” dei prodotti valtellinesi, organizzato dal Multiconsorzio. Se non altro per guardare in faccia quei signori».

24 settembre 2010

Intervista in collaborazione con il sito www.ruralpini.it