Una linea di confine, la stessa vita di montagna di qua e di là, la medesima lingua ma due modi diversi di esprimersi e di pensare un unico mestiere. Quello di malghese, anzi no, di "alpigiano", perché qui, in Svizzera, chi va in Alpe così si chiama, e la pratica del pascolo estivo non è quella di "caricare l'alpeggio" o di far transumanza, bensì – e qui lasciateci sorridere – quella di "estivare in alpeggio". Tra differenze e analogie, curiosità e cronaca, è dal Cantone di Lucerna che ci giunge notizia in questi giorni sullo stato degli alpeggi, uno stato non troppo buono, secondo quanto appurato dal programma di studio "AlpFutur", condotto dal gruppo di ricerca "Paesaggio agricolo e biodiversità" di Zurigo, in collaborazione con l'Unità di ricerca Scienze economiche e sociali dell'Istituto federale di Fnp di Birmensdorf e dalla stazione di ricerca Agroscope di Zurigo.
Bene, anzi no, perché a fronte degli 800mila animali (400mila vacche, 210mila pecore, e poi capre, manzi, vitelli, cavalli) portati in alpeggio ogni anno da un esercito di 17mila alpigiani, i pascoli stanno diminuendo e si stanno impoverendo. Alcuni sono sfruttati eccessivamente, mentre in altri il bosco avanza. Una situazione critica, che costituisce "una vera e propria minaccia per la flora alpina". A sostenerlo, appunto, gli esperti che hanno lavorato alla ricerca "AlpFutur", le cui conclusioni sono state presentate la settimana scorsa a Schüpfheim, nel canton Lucerna.
"I 4.665 chilometri quadrati di pascoli d'estivazione nelle Alpi e nel Giura corrispondono a un terzo della superficie agricola utile della Svizzera, ovvero all'11% del territorio nazionale", scrive in una nota la stazione di ricerca Agroscope: "7mila circa le aziende di montagna, con un fatturato complessivo annuale di 280 milioni di franchi, vale a dire l'11% del reddito agricolo elvetico e un terzo del reddito delle regioni di montagna". Ma non è tutto, visto che stiamo parlando di "un'economia alpestre che contribuisce al mantenimento e alla promozione della biodiversità e alla protezione dai pericoli naturali, che caratterizza il paesaggio nell'area alpina e incrementa la sua attrattiva per il turismo".
L'antropizzazione delle Alpi va quindi guardata come fenomeno di primaria importanza per la gestione delle terre alte: il sistema dei valori delle comunità di contadini che vivono la montagna tutto l'anno o che caricano gli alpeggi in estate incide sullo sviluppo della regione, e questo è un fatto acclarato dai ricercatori: "la tradizione svolge un ruolo importante quando le aziende agricole decidono di estivare i propri animali sulle Alpi, e oggi come oggi si è di certo "al passo con i tempi nel sorvegliare le vacche su un alpe in estate per tre mesi". I risultati di un'indagine svolta da Chiara Calabrese di Agroscope mostrano che la disponibilità di personale ben formato costituisce la chiave del successo di una stagione di alpeggio, e questa è una condizione fondamentale per chi in alpe e con il lavoro d'alpe ci vive, ed è così che nella presentazione della ricerca una prima conclusione non porta ombra di dubbio: "il riconoscimento del loro lavoro, e di questo tessuto sociale, assieme alle infrastrutture presenti sugli alpeggi, sono i due principali fattori per avere del personale esperto e reclutare nuovi alpigiani".
Per approfondire i temi della ricerca "AlpFutur" (tra cui il progressivo calo del numero di alpeggiatori e animali caricati e il programma di contrasto all'avanzamento del bosco che dovrà essere attivato con la nuova politica agricola europea a partire dal 1° gennaio prossimo), è sufficiente cliccare qui.
14 ottobre 2013