C’è tradizione e passione nell’attaccamento di Pasquina al suo formaggio

Spazio autogestito dal produttore(*)

Le ricotte di Pasquina prendono forma… nelle fuscelle

Mi chiamo Pasquina e porto avanti una tradizione di famiglia: mia madre, la madre di mia madre, e così via indietro nel tempo, facevano la ricotta e i formaggi, e a me piace farli e tenere viva questa nostra tradizione. Fa parte della mia vita, mi rilassa, mi dà serenità. Qual è il segreto per fare del buon formaggio e della buona ricotta? Il mantenimento delle vecchie tecniche di lavorazione, un buon latte e tanto amore per quel che si fa e che i nostri vecchi ci hanno insegnato a fare.

La nostra azienda si trova in una proprietà che una legge di Giuseppe Bonaparte nel 1806 tolse alla Chiesa e ai feudatari nocesi per ripartirla tra i contadini, che con il tempo hanno potuto riscattare i terreni. La nostra proprietà è di 33 ettari e oltre agli animali da cortile abbiamo una cinquantina di vacche, la maggior parte delle quali di razza Bruna Alpina.

Con estrema delicatezza, la cagliata viene finalmente rotta

Gli animali stanno liberi al pascolo perché crediamo che sia la forma di allevamento migliore, quella che sempre si è usata qui e che mai ha creato problemi. A dire il vero io su questa questione delle bestie al pascolo una volta ho litigato con un tecnico che diceva che questa forma di allevamento non era la migliore ma che dovevo tenerle nella stalla. Gli ho risposto che volevo vedere lui, dopo che lo avevo chiuso un mese in una stanza, dandogli da mangiare e bere, se quando usciva era la stessa persona di quando era entrato! Qui non saremo tutti matti se siamo tutti convinti che le vacche devono stare libere. Devono essere libere di scegliersi il pascolo e il luogo dove stazionare.

C’è grande manualità nel lavoro di Pasquina. Ecco i nodini prendere forma…

Ma sapete, vivere in un’azienda come la nostra ti fa conoscere e apprezzare gli animali più di tanti uomini, e allora scopri che quando un posto diventa sporco loro se ne cercano un altro. E a me questo porta a pensare che siamo solo noi umani che stazioniamo accanto ai nostri cassonetti dei rifiuti o alle nostre discariche. E che dagli animali dobbiamo imparare tanto.

Il benessere degli animali per esempio. Adesso dicono che si produce latte di maggior qualità ma io dico che dentro questa parola qualità bisogna vedere cosa ci metti, e ammesso che sia vero la qualità poi va conservata quando fai il formaggio.

Nodini e trecce. Appena deposti nel piatto, l’acquolina è inevitabile

La materia prima comincia al pascolo e nella tranquillità dello stile di vita degli animali. La cagliata da novembre fino a giugno è molto gialla perché le mucche al pascolo trovano molto trifoglio. Il trifoglio è ricco di betacarotene e così conferisce al latte un colore giallo paglia.

Io uso solo latte crudo e per ottenere la cagliata adopero caglio di vitello e la tecnica del siero innesto. Preferisco il caglio di vitello e non quello d’agnello solo per motivi di gusto perché i nostri nonni usavano quello e noi con quel gusto ci siamo cresciuti. Credo che dia alla pasta dei sapori più delicati e meno pronunciati di quelli che ti dà il caglio di agnello e di capretto.

La cagliata viene lavorata con acqua bollente. Nasce la pasta filata

Quando faccio formaggio evito di premere tra le mani la pasta che fila con l’acqua bollente perché ho imparato che le caseine del latte non vanno disperse durante la lavorazione. Molto della nostra attività si lega all’esperienza tattile e a quella visiva: quando sento sotto le mani che la pasta ha il nerbo giusto comincio la mia lavorazione, e dopo immergo il prodotto in una soluzione di acqua e sale. Con questa tecnica di lavorazione appresa da mia madre la pasta sotto i denti scricchiola e si sente netto il sapore del latte. Già così ti arrivano i sentori delle erbe fresche appena tagliate.

Lo stridore che si percepisce è tipico della consistenza della nostra mozzarella. Una pasta con un nerbo deciso e con mille profumi e sapori. In genere, prima di fare le mozzarelle e le trecce però faccio i caciocavalli. Il procedimento è lo stesso, con tanta manualità e amore. Però i caciocavalli qui nella Murgia li chiamiamo provole, a volte li facciamo anche stagionare 8-9 mesi ottenendo un prodotto che una volta pulito dalle muffe esterne si presenta di un giallo intenso e con una pasta burrosa e profumatissima.

Il tempo e la flora batterica dell’ambiente completano l’opera. Ecco un caciocavallo di otto mesi, con le sue nobili muffe

Fino a qui vi ho detto tutto come se fossi solo io a fare formaggio, però è vero che per fortuna non sono da sola sennò come farei. Porto avanti l’azienda assieme a mio marito Peppino. La tenuta era dei suoi genitori. Quando ci siamo sposati 37 anni fa, dopo poco, il papà, che all’epoca aveva oltre 80 mucche, ha avuto problemi di salute e allora io ho promesso a mio marito che lo avrei sempre aiutato nell’azienda, e così è stato! Una promessa è una promessa!
Oggi vorrei ingrandirmi, mettere su un mini caseificio, ma lui non vuole e dice che non siamo più giovani per fare investimenti.

Ricotte e caciocavalli finalmente a tavola. L’opera si completa… godendosi questa meraviglia

Una volta fatti i formaggi e le mozzarelle, passo a fare la ricotta che è una delle lavorazioni che mi appassionano di più forse anche perché è una delle operazioni più delicate. Evito di rimestare il siero e quando la temperatura è quella giusta, intorno agli 85 gradi, raccolgo la ricotta che affiora affondando la schiumaiola il meno possibile. Raccolgo quello che affiora e dopo spengo e non faccio un secondo passaggio e il mio siero dopo la raccolta della ricotta è ancora giallo paglierino mentre se vai nei caseifici, spesso anche quelli non tanto grandi, vedrai che dopo che hanno fatto tutta la ricotta che vogliono fare, il siero è verde per non dire che è color giada e questo perché è sfruttato fino al massimo del suo rendimento.

A me però non piace la ricotta fatta in quel modo, perché è dura e asciutta. La ricotta deve essere setosa e delicata e intensa di sapori. Lo sfruttamento del siero fino al massimo rendimento dà una ricotta asciutta e grumosa e in bocca ti lascia l’amaro. La mia ricotta, che è come me l’ha insegnata mia madre, è dolce e delicata anche dopo essere stata due giorni in frigo.

Pasquina con il marito Peppino. La speranza è che almeno una delle due figlie tenga in vita questa piccola straordinaria realtà

Tornando al discorso di ingrandirmi come azienda, che è un mio sogno nel cassetto, potrei affrontare tutte le difficoltà che ne derivano se avessi dei figli appassionati alla cosa ma non sarà facile. Io e Peppino abbiamo due figlie. Una vive fuori regione e non ha interesse per questa attività e questa vita. La seconda, che lavora in tutt’altro settore, sembra appassionarsi e io spero che presto entri nella nostra azienda con la volontà di proseguire questo lavoro. In quel caso avrà un senso ingrandirsi, sennò no. Molti mi dicono che è laureata ed è un peccato che faccia la casara. Ma chi ha detto che un dottore non può fare ricotte e formaggi?

Pasquina Netti

Azienda Monaci Nuova – Zona F n.98/A – Noci (BA) – Tel.080.4975921 (consigliamo una telefonata prima di visitare l’azienda)

17 settembre 2008

 

(*) Gli spazi autogestiti dal produttore non sono a pagamento; le aziende vengono selezionate dalla direzione in base ai propri canali di conoscenza e devono rispondere a rigidi requisiti produttivi, primi tra tutti il reale benessere animale, il lavorare unicamente il proprio latte, l’esclusione di metodologie produttive da noi non condivise (mangimi o fermenti lattici industriali). I produttori sono caldamente invitati a non autocandidarsi per comparire in questa sezione. Grazie!