Alle soglie del trentesimo compleanno, Striscia la Notizia, il telegiornale satirico programmato in prima serata, dal lunedì al sabato su Canale 5, riesce ancora a stupirci. Tutti lo immaginano sempre tagliente e corrosivo, sostenere i diritti degli animali, spesso strizzando l’occhio al mondo veg-animalaro (a volte a danno dei piccoli allevatori), e invece no, stavolta “Striscia” è ancora capace di stupirci, con un reportage non corrosivo e critico, come nel suo stile, bensì con un servizio dolce come miele, e a tratti stucchevole, come mai ti aspetteresti.
A godere di tante attenzioni, alcune sere fa, è stata la Latteria Sociale di Branzi, azienda che trasforma latti raccolti da diversi allevatori della Valle Brembana, sia nelle poche settimane d’alpeggio che nei lunghi mesi invernali in cui le vacche sono in stalla, alimentate a fieno e a mangime.
A sostenere Branzi, è ancora una volta il “testimonial” Alberto Marcomini, che – di casa a Canale 5 – è intervistato dal presentatore, Davide Rampello, e tesse lodi sperticate della realtà brembana, allo stesso modo in cui, nei mesi scorsi aveva dato supporto alla manifestazione del progetto “Forme” (con articoli, interviste e ancora con video, sempre per Canale 5), anch’esso legato alla latteria di Branzi.
Ma non è solo il taglio di stampo promozionale a colpirci, visionando il video, bensì la presenza del direttore commerciale della latteria, promoter, nonché artefice del rilancio dell’azienda, Francesco Maroni, che viene intervistato in qualità di casaro (ma casaro non è!). L’artificio trapela senza freno nei tre minuti del servizio, giungendo all’iperbole di un’affermazione che offre a chi non lo conosca il taglio del “personaggio”: «Qui da noi», afferma Maroni, «il formaggio è ancora latte, caglio, sale, fuoco e anche un po’ di arte. Nei secoli la splendida nobiltà delle cose semplici».
A quale delle sette arti (architettura, musica, pittura, scultura, poesia, danza e cinema) il non-casaro di Branzi si riferisse non è dato saperlo. Forse ad un’ottava: quella della recitazione, chissà. Fatto sta che il grosso degli spettatori, quelli che con “Striscia” sono abituati a vedersi porgere “la verità” in casa, aranno rimasti incantati da un sì mirabolante racconto.
Un percorso a colpi di emulazione
Il percorso perseguito proprio da Maroni in dieci anni di azioni di marketing va così avanti: dopo un primo “paniere” dei formaggi locali, denominato “Principi delle Orobie”, con cui riuscì ad avvicinare nella promozione i propri caci al Bitto Storico (per far godere loro della luce riflessa di uno dei “miti” della produzione eroica delle Alpi), due anni e mezzo fa ne arrivò un altro, attraverso l’operazione “Forme”, studiata – in occasione dell’Expo di Milano – per elargire magnificenza (con il supporto del su citato Marcomini, ndr) alle Dop industriali lombarde, tutt’altro che accostabili ai formaggi d’alpeggio e della montagna in genere.
Cosa abbiano in comune dei formaggi prodotti da latte di animali alimentati con insilati (Grana Padano su tutti) e dei formaggi prodotti con erba pascolata sugli alpeggi non è dato saperlo. Come anche non si afferra il nesso tra essi e un Branzi invernale, da vacche nutrite a fieno e mangimi, che a nostro avviso non sta né in vetta né al piede della produzione lombarda bensì nel mezzo, tra i due estremi.
12 febbraio 2018