Quando si parla di formaggi contraffatti il pensiero inevitabilmente va ai molti produttori esteri che speculano sull’italian sounding, invadendo il mercato mondiale di Reggianito, Combozola, Parmesan e compagnia cantante. Ma stavolta, ancora una volta, il fattaccio si compie nel nostro Paese, ed è smascherato dai Carabinieri dei Nas di Parma, e – se non ci fossero loro – chissà quanto pessimo prodotto circolerebbe in più di quanto già non venga commercializzato.
Niente Parmesan quindi, niente Reggianito ma solo e soltanto Parmigiano Reggiano, prodotto da un caseificio autorizzato – ma in maniera fraudolenta – seguendo sì le tecniche previste dal disciplinare, per di più in un territorio ammesso alla produzione, ma infrangendo diversi obblighi, primo tra tutti quello di garantire una tracciabilità certa al prodotto da immettere sul mercato.
A lasciare di stucco, oltre alla disonestà e allo spessore della frode, sono la quantità di merce sequestrata – 18mila forme, una parte delle quali a titolo cautelativo, potrebbe essere però dissequestrata – e il valore di mercato dichiarato dalle forze dell’ordine: oltre 10 milioni di euro di prodotto.
Ma vediamo come sono andati i fatti: gli accertamenti che hanno portato al clamoroso epilogo hanno visto impegnati i militari dell’Arma affiancati dagli agenti vigilatori del Consorzio di Tutela del Parmigiano Reggiano. Le attività si sono concentrate in due unità di produzione di proprietà di una stessa azienda agricola, site una in provincia di Reggio Emilia, l’altra in provincia di Mantova.
Nel corso delle due azioni, gli ispettori hanno rintracciato nello stabilimento mantovano delle fascere e delle matricole identificative che erano state assegnate però all’altra unità di produzione dell’azienda, quella reggiana. Inoltre, un’infinità di forme con codici identificativi non assegnati a quel caseificio ma all’altro.
Elementi apparentemente incomprensibili che nascondevano l’intento di compromettere la tracciabilità, confondere le acque e coprire – evidentemente – qualcosa di losco che via via che l’ispezione procedeva si palesava agli occhi degli agenti.
Due le svolte registrare nel corso dell’attività ispettiva: la prima, con l’individuazione di forme sprovviste di placca di caseina, vale a dire dell’elemento – anch’esso fornito dal consorzio – numerato e contingentato, in ragione delle “quote” produttive assegnate al caseificio.
La seconda, con la conta delle forme prodotte e delle relative date di produzione, che ha portato ad un computo di gran lunga superiore a quello che i due caseifici avrebbero potuto produrre.
Il caso ha del clamoroso, in quanto l’ingente sequestro di Parmigiano Reggiano è avvenuto nella zona di produzione di quel formaggio, nel caseificio di un produttore autorizzato, che ha usato fascere (punzonatura con il nome ripetuto sullo scalzo) e placche datarie (mese e anno) autentiche. Problema non secondario: una buona parte del latte, ben oltre le quote indicate dal consorzio, è stata utilizzata come se niente fosse, dando luogo quindi al fenomeno delle “forme in più”, per le quali non erano disponibili le placche di caseina.
Al termine delle ispezioni i Carabinieri del Nas hanno così denunciato all’autorità giudiziaria sia il legale rappresentante che il casaro dell’azienda e hanno proceduto al sequestro dell’ingente quantitativo di formaggio. Una parte di esso dovrebbe essere distrutta, dopo i necessari accertamenti, secondo la vigente procedura, in un impianto di incenerimento autorizzato. Quali provvedimenti sanzionatori prenderà il consorzio di tutela nei confronti del suo associato non è dato saperlo: come da prassi, in questi casi, il silenzio dell’ente è assordante.
26 marzo 2018
Nella seconda foto dall’alto: Solo la placca di caseina, sul piatto della forma e concessa dal consorzio in base alle quote produttive, garantisce la sua liceità – foto Pixabay© (alcuni elementi nella foto sono stati modificati per tutelare il produttore)