Benessere animale: tutti ne parlano e quasi(*) nessuno sa dove sia di casa. A trattare sempre più spesso questa tematica, e ad adoperarsi per convincerci di un proprio impegno per migliorare la qualità della vita degli animali da reddito è l’industria, preoccupata della crescente sensibilità dei consumatori, della propria perdita di credibilità e più in sostanza della riduzione dei consumi di carne, latte e derivati.
Ben consci della gravità della situazione, i produttori di farmaci veterinari affinano le armi e le iniziative per sostenere allevatori e industria agroalimentare, lanciando attività di marketing laddove nessun prodotto è in grado in sostanza di alleviare le costrizioni, le privazioni, le sofferenze di miliardi di animali reclusi nelle stalle a vita. Tra queste, la Bayer ha annunciato nei giorni scorsi il varo di un progetto denominato “Care4Cattle“, con cui la multinazionale mette in palio 30mila euro per “premiare”, afferma, “le idee innovative pensate per migliorare il benessere degli animali nelle aziende agricole”.
L’industria del farmaco è senza idee?
L’invito è rivolto ad allevatori, veterinari, studenti e ricercatori, che avranno tempo sino al prossimo 25 giugno per candidare le proprie idee in quella che di fatto è una competizione, realizzata in collaborazione con l’associazione Wfo (World Farmers’ Organization). Nel lancio alla stampa dell’iniziativa, la Bayer dice la sua per rendere credibile il senso dell’operazione: “Il benessere degli animali”, racconta la presentazione di “Care4Cattle”, “è sinonimo di welfare, che comprende lo stato psicofisico dell’animale. Il miglioramento del benessere degli animali è un processo continuo che necessita di collaborazione e impegno”.
“L’iniziativa “Care4Cattle””, prosegue la Bayer, “offre la possibilità di ottenere un supporto economico per veterinari, allevatori e ricercatori che lavorano per migliorare il benessere dei bovini utilizzando metodi innovativi e pratici nelle aziende agricole”.
Un’iniziativa, quella della Bayer, che lascia assai perplessi, in quanto offre due chiavi interpretative entrambe plausibili, ma in forte contrapposizione fra di loro: la prima – non propriamente positiva – porta a pensare che l’azienda non abbia idee sufficienti per affrontare una situazione di grave criticità (una questione senza soluzione, per le industrie), la seconda che siano così aperti e illuminati da coinvolgere chi è “sul campo di battaglia” nel recepire i loro suggerimenti.
Il ruolo delle associazioni animaliste
A guardar bene, attorno al tema della qualità della vita degli animali da reddito non manca proprio nessuno: dall’associazione CiWF (Compassion in World Farming) – che da una parte bacchetta il Grana Padano per la mancanza di pascoli (sic), dall’altra dispensa il “Premio Benessere Animale” – alle industrie stesse, che dal canto loro si affannano nell’organizzare convegni, seminari e promozione raccontandoci del loro impegno di facciata per la causa animale.
Le iniziative delle industrie: poca sostanza oltre gli slogan
Tra queste ultime si sono fatte notare, mercoledì scorso, quattro “big” dell’industria piemontese: Ferrero, Inalpi, Compral Latte e Piemonte Latte, che in un incontro pubblico presso il Centro Polifunzionale della Cascina San Giovanni di Moretta, di fronte ad una platea composta in prevalenza da allevatori, hanno dissertato di “Benessere animale: cosa fare in allevamento e perché” (questo il titolo del convegno, ndr), finendo per parlare di produttività, di rimonta, di costi di produzione, di ricetta elettronica veterinaria. E di abuso di antibiotici.
Tutte tematiche prevalentemente riconducibili all’allevamento di natura intensiva, laddove per intensivo va inteso – e su questo concetto i più sordi son quelli che non vogliono sentire – ogni allevamento in cui si forzi l’animale a produrre di più e/o più velocemente ciò che naturalmente sarebbe portato a produrre. Un fatto è centrale e inconfutabile in questa questione: spingere le produzioni oltre la natura dell’animale porta con sé la riduzione dell’aspettativa di vita della bestia. Chi fa finta di non saperlo è responsabile tanto del malessere animale quanto di un cibo – prodotto nella sofferenza – che mai potrebbe soddisfare le aspettative di un crescente numero di consumatori.
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(*)lo sanno bene gli allevatori che producono, in maniera ecosostenibile, i latti e le carni dell’erba, ormai costretti a parlare di “vero benessere animale” per raccontare il proprio, sottintendendo così l’abuso che del termine fa l’industria, in quanto trasformatrice di materia prima di natura intensiva
23 aprile 2018
Su questa tematica suggeriamo la lettura dell’articolo “Consumatori e benessere animali: un altro consumo è possibile”, pubblicato mercoledì dal sito web dell’agenzia stampa “Help Consumatori”