Non ci dev’essere più un gran feeling tra Consorzio del Grana Padano e Coldiretti. O perlomeno, a giudicare da quanto si è letto in questi giorni, sembrerebbe che la comunicazione tra le due realtà lasci un po’ a desiderare. Lo farebbero intendere due azioni in antitesi tra di loro ma coincidenti sul piano temporale, che mettono platealmente a nudo, per via di un sincronismo evidentemente non voluto, la doppia anima del mondo padanista: una larga parte impegnata sui temi della comunicazione, preoccupata di come la presenza di lisozima (proteina naturale, derivata dall’uovo, ad azione antibiotica, ndr) possa essere vista dai consumatori, l’altra – di minoranza – al lavoro sul fronte di un fare concreto, che dichiara, per quanto in un territorio specifico (in provincia di Mantova, ndr), di voler orientare sempre più la produzione verso le buone pratiche agronomiche, a partire dall’alimentazione a base di fieno (ed erba medica).
In sostanza, ha riferito il quotidiano Il Piacenza mercoledì scorso, grazie ad una recente azione del Ministero della Salute, il lisozima utilizzato per produrre la gran parte del Grana Padano è stato spostato dalla lista dei conservanti a quella dei coadiuvanti tecnologici, per cui il racconto che il consorzio potrà fare del prodotto al mercato potrà d’ora in avanti fregiarsi di un termine più “soft” per parlare della stessa identica cosa utilizzata da anni. E per preoccupare un poco di meno (“perché un conservante?” “come la mettiamo con gli allergeni?”) i consumatori.
“Tale enzima”, precisa l’articolo pubblicato dal giornale piacentino, “ha lo scopo di contrastare lo sviluppo di una particolare specie microbica responsabile del gonfiore tardivo nei formaggi a lunga stagionatura. Ora, con la delibera del Ministero si esce da ogni equivoco, anche se il Consorzio, con il suo Comitato tecnico, sta ricercando da tempo un lisozima non derivante dall’uovo ma anche la sua completa eliminazione in un futuro prossimo, un valore aggiunto per il grana padano Dop”.
Il pezzo, intitolato “Grana Padano: per il ministero della Sanità il lisozima non è un conservante ma un coadiuvante tecnologico” tratta anche di altro (comunicazione, pubblicità, produzione e vendita, formaggi similari), si badi bene, ma al centro dell’attenzione c’è il lisozima, che non a caso ha conquistato il titolo del pezzo, essendo esso al centro delle preoccupazioni del consorzio. Per eliminarlo del tutto, come annunciato nell’articolo, verrà fatto sicuramente qualcosa. Sarà forse adottata la pratica della centrifugazione, che allontana dal latte gli sporigeni derivanti dall’alimentazione basata sull’uso di insilati di mais, ma di questo ci renderà edotti il consorzio a tempo debito. L’altra opzione che permetterebbe di non usare più questo “coadiuvante tecnologico” consisterebbe in una rivoluzione altamente improbabile, che dovrebbe prevedere l’eliminazione degli insilati e il passaggio ad altre pratiche di alimentazione. Come se le critiche dell’associazione animalista CiWF (Compassion in World Farming) fossero state prese in considerazione.
Un Grana virtuoso è possibile
Problematiche quelle legate all’uso del lisozima che non riguardano le realtà che escludono appunto gli insilati, vale a dire – all’interno del mondo padanista – il Trentingrana, il Grana Padano della Montagna Piacentina e il Grana Padano dei Prati Stabili Polifiti. Proprio di quest’ultimo ha riferito nella stessa giornata di mercoledì scorso La Gazzetta di Mantova con l’articolo “Il latte dei pascoli piace agli allevatori, cresce la produzione”.
8mila tonnellate di prodotto, concentrato tra Marmirolo e Goito fanno di questo territorio un’oasi felice, in cui alle rosee prospettive per allevatori (che, racconta l’articolo, “hanno detto addio all’insilato di mais”, ndr) e produttori si sommano le notizie di un turismo territoriale possibile, grazie anche ad un territorio che ambientalmente ha molti punti in più rispetto alle lande padaniste caratterizzate dalla monocoltura del mais, tutt’altro che bella da vedersi e non del tutto amica dell’ambiente.
L’articolo, è carico di messaggi positivi, che pare abbiamo fatto breccia nei convincimenti della Coldiretti, almeno di quella mantovana, forse sensibile alla contiguità con i territori in cui trionfa il buon nome del Parmigiano Reggiano. Che sia per spirito di emulazione, per una stessa cultura agraria o per semplice competizione (probabilmente per tutti e tre i motivi), l’aspetto interessante è che le “isole felici” padaniste siano già tre, e per quanto non vastissime c’è da sperare che possano rappresentare nel tempo un sano contraltare all’imperante propensione produttivista basata sul mais (le vacche sono erbivori, non dimentichiamolo mai, ndr).
Non sappiamo a voi, ma a noi il solo pensare che anche nel mantovano ci siano produttori che il lisozima non lo usano affatto, ci mette tanto sano buonumore. Perché un futuro diverso è evidentemente possibile. Anche per il Grana Padano.
30 aprile 2018