Le pecore mangiano erba. Lo dovrebbero sapere anche i bambini, certo, ma oggi non è così scontato: in un Paese e in una società in cui le distanze tra il mondo rurale e le città sono sempre più profonde, questa ipotesi risulta quantomeno improbabile. A ricordarselo, per quanto a fasi alterne, sono però gli amministratori pubblici, che si interessano al mondo pastorale quando hanno bisogno di curare il verde comunale o demaniale (vuoi mettere l’erba tagliata a regola d’arte?, ndr), per poi tornare ad occuparsi – loro malgrado – dei pastori quando le loro greggi chiedono di attraversare le aree pubbliche (e questo perché le pecore, una volta mangiato, hanno il “difetto” di defecare, ndr).
Vabbé, sono “dicotomie del vivere moderno in una società complessa”, obietterà qualcuno. Dopotutto l’amministratore locale è naturalmente (pre)occupato nel servire i cittadini residenti (già che sono loro che periodicamente decidono da chi farsi governare, ndr), non a perseguire il dialogo tra le varie componenti della società, né ad affermare una cultura della convivenza in cui cercare di capire le esigenze degli uni e quelle degli altri.
E così, nel quadro di una società che ancora appare affidarsi all’approssimazione e al pressappochismo, è accaduto a Roma, nei giorni scorsi, che l’assessora all’ambiente – Pinuccia Montanari – abbia annunciato di avere una brillante soluzione per tenere in ordine i vasti spazi destinati a verde pubblico, dicendo in sostanza: “Useremo le pecore per tagliare l’erba. Ma no, faremo di meglio: porteremo le mucche, che ne mangiano di più, e faremo anche prima”.
L’intervista all’assessora “ambientalista”
«L’idea di utilizzare le pecore per tagliare l’erba», ha spiegato Montanari, «la stiamo già sperimentando nel parco della Caffarella: un’attività che funziona molto bene e dove le pecore falciano (chissà, forse “brucano” le sembrava troppo ovvio, ndr) un’area vasta. Per questo vogliamo estendere l’esperimento in altre zone di verde molto estese considerando che Roma è uno dei territori più vasti d’Europa, con 44 milioni di metri quadrati di verde da gestire. E con la carenza di risorse e personale abbiamo cercato di trovare tutte le possibili soluzioni».
Quasi compiacendosi per la fenomenale intuizione, l’assessora ha così proseguito nella spiegazione: «Il Comune di Roma ha già le pecore di proprietà, possiede infatti due aziende agricole a Tenuta del Cavaliere e a Castel di Guido. In queste aziende abbiamo anche alcune mucche che potrebbero essere utilizzate quando l’erba è particolarmente alta» (difficile decifrare la logica per cui l’erba più alta sia per le “mucche”, ndr).
«Ovviamente», ha proseguito l’assessora all’ambiente del comune di Roma, «saranno utilizzate sempre in aree chiuse (in cui la gente lancia di tutto dai finestrini delle auto in transito, ndr). Siamo anche felici di siglare dei protocolli d’intesa con soggetti che possono mettere a disposizione questo tipo di soluzioni».
Nel concludere l’intervista, la pentastellata Pinuccia ha tenuto a precisare che «ho riscontrato diverse valutazioni positive, dal Wwf alla Coldiretti, che ha addirittura riconosciuto che può essere un’alternativa moderna alla transumanza che per secoli ha caratterizzato i nostri territori. È chiaro che gli animali autorizzati devono essere indenni da determinate patologie e sottoposti a profilassi particolari. Mi meraviglio di chi si meraviglia perché su questo ci sono delle leggi del Parlamento».
E fa bene la Pinuccia a meravigliarsi, anche se ad avere legittimo diritto allo stupore, dopo questa sua intervista, sono idealmente tutte le persone di buonsenso che si siano occupate anche marginalmente di zootecnia: possibile che questa amministratrice, appartenendo tra l’altro ad un movimento (M5S) che si prefigge di innovare – cancellando le approssimazioni delle giunte che Roma ha avuto in passato – non abbia avuto il buonsenso di interpellare uno zootecnico, o un veterinario, prima di aprir bocca? O non sarà mai che abbia chiesto al suo, che di certo è bravissimo con cani e gatti ma non sa nulla di erbivori, e di vacche?
Roma e le vacche a rischio
Fatto sta che l’unico auspicio possibile, in questa vicenda, per chi abbia a cuore il destino delle “mucche capitoline”, ma anche per chi sostiene l’amministrazione comunale, è che in pascoli come quelli, invasi dall’infinità di immondizia che li caratterizza, continuino ad andare le pecore e non vengano inviate le vacche. Che notoriamente, attratte da ogni cosa che si palesi loro di fronte, ingurgitano di tutto: dal sacchetto di plastica al fil di ferro. Chissà che all’assessora ambientalista non lo vada a dire qualche esperto illuminato, già che neanche alla Coldiretti e al Wwf nessuno ha mosso un dito, è evidente. E se questo accadrà, speriamo che ciò avvenga prima ancora che le cronache registrino qualche “strana” moria di “malcapitate” vacche.
21 maggio 2018