Secondo un detto popolare “il mondo è bello perché è vario”: un’affermazione che mal si attaglia al pianeta latte, se lo si guarda nella sua accezione più ampia e in un contesto globale, in grado di mettere in evidenza estreme divergenze sì (è vario quindi) ma anche speculazioni, mistificazioni ed approcci di comodo (è assai poco bello) che nel “Milk Day” – Giornata Mondiale del Latte – appena trascorso (1° giugno), si sono palesati a chiunque abbia dato un’occhiata anche superficiale alla stampa internazionale. E a quella italiana.
Anche a noi, che la rassegna stampa la curiamo, per ovvie ragioni, settimana dopo settimana, è saltata all’occhio la drammatica divergenza nei racconti proposti da chi ha un approccio giornalistico corretto, indipendente e investigativo (in genere all’estero) e chi, come quasi sempre accade in Italia, manifesta il proprio ruolo di asservimento e di subordinazione agli interessi delle lobby in genere e di quella industriale in particolare. Inoltre, a quanto pare, le differenze manifeste sono state quelle delle tematiche che la Giornata Mondiale del Latte ha visto toccare nei vari Paesi dalle relative rappresentanze locali.
Il “Milk Day” è stato quindi un’occasione sincronica solo dal punto di vista temporale, per nulla sul piano dei contenuti. Differenze che sono apparse manifeste raffrontando le cronache italiane a quelle francesi, anglosassoni e spagnole. Ma è nel confronto con i giornali di lingua tedesca che il solco è apparso assai profondo: da una parte le lamentazioni padane di chi vorrebbe – rifuggendo dalle proprie responsabilità nei confronti dell’ambiente, degli animali e degli stessi consumatori – farsi credere vittima di un complotto mediatico (il “mantra” del latte che fa male, ndr). Dall’altra chi, cosciente di una sempre più manifesta sensibilità del mercato per le tematiche ambientali, animali e salutistiche, mostra la ferma intenzione di andare incontro a quelle con maggiori attenzioni nella conduzione della zootecnia, verso una produzione sempre più naturale ed ecosostenibile (Heumilch Stg, ndr) e per la valorizzazione del paesaggio e del turismo. Chimere per molti nostri territori, fortemente piegati – e piagati – dalle produzioni intensive, purtroppo.
Problemi: in Italia li si nasconde, altrove li si risolve
Drammatica quindi la divergenza tra le strategie annunciate: in Italia chi è responsabile o ha ereditato (senza muovere un dito), danni epocali (all’ambiente, agli animali, alla salute pubblica) dichiara spavaldamente di puntare a “migliorare l’aspetto relativo alla comunicazione”: “un settore”, quello della comunicazione, è stato detto in un convegno a Cremona, “su cui investire con progetti mirati e strategici, investendo risorse sia pubbliche che private”. Vale a dire: “continuiamo a inquinare, a sfruttare gli animali, a immettere sul mercato prodotti non salubri (quelli che lo sono arrivano dall’erba, non dai mangimi, ndr), ma raccontiamo alla gente che tutto va bene”.
Ben altro approccio, quello manifestato dagli operatori del Paese che, ad oggi, più ha puntato alla produzione del latte-fieno – l’Heumilch Stg – vale a dire l’Austria. In occasione della Giornata Mondiale del Latte, il presidente dell’“Ausschusses für Milchwirtschaft der LK Österreich” (Comitato per la gestione lattiero-casearia delle Camere dell’Agricoltura dell’Austria), Josef Hechenberger, ha sottolineato come «L’industria lattiero-casearia nazionale è pienamente impegnata nella qualità; il nostro latte è un prodotto al 100% ogm-free e per oltre il 50% è latte di pascolo o biologico».
«Per poter avere successo sul mercato, in futuro», ha proseguito Hechenberger, «sviluppiamo costantemente le nostre strategie di qualità sul latte, il formaggio, l’esportazione, costantemente superiore al 50% della produzione. La base del nostro successo non è solo la qualità e l’assortimento, ma anche la nostra massima priorità in termini di salute e igiene degli animali. Questo richiede investimenti elevati, con un carico di lavoro supplementare, e costi di produzione contenuti. Pertanto, i requisiti speciali richiedono anche ricavi di mercato speciali». Un discorso che in Italia mai nessun presidente di alcun ente del nostro settore ha pronunciato sinora, né potrà pronunciare. A meno che non venga attuata una seria politica di riconversione verso una zootecnia di qualità reale (fieno, erba, pascolamento, integrazioni vegetali contenute e no-ogm).
Analogie tra mercato austriaco e altoatesino
«Un allevatore austriaco», ha proseguito Hechenberger, «detiene poco meno di venti vacche e produce 6.200 litri di latte per vacca all’anno. I 27.500 produttori lattiero-caseari producono complessivamente 3,4 miliardi litri di latte all’anno con 550.000 vacche da latte»: un quadro in tutto e per tutto simile a quello del nostro Alto Adige, regione con cui le similitudini non finiscono qui, visto che «un altro prodotto del loro lavoro quotidiano (dei contadini, ndr)», ha aggiunto poi Hechenberger, «è il paesaggio culturale coltivato, che pone le fondamenta per uno dei settori economici di maggior successo del paese, il turismo. Il fatto che, con la cura del paesaggio, proteggano anche gli insediamenti contro possibili pericoli naturali, che promuovano la diversità della fauna e della flora, sono ulteriori risultati del lavoro degli agricoltori lattiero-caseari come fornitori di servizi multifunzionali, ma che non si applica al mercato».
Quale cambiamento auspicare in Italia?
L’esempio austriaco e le cautele appena intraprese dal mondo del latte altoatesino (il 5% degli allevatori dovranno ridurre il carico di bestiame sul pascolo, ndr) per evitare il rischio della deriva intensivista fanno apprezzare delle prospettive comuni tra territori e culture affini, per cui nel medio termine è auspicabile che l’industria altoatesina pareggi il gap con quella austriaca.
Oltre questa prospettiva il nostro Paese ha poco da sperare, se non che la futura maggiore diffusione di latte fieno dal Sud Tirolo nel resto d’Italia attraverso le reti di distribuzione già consolidate e le eventuali produzioni in private brand per le commerciali del settore biologico (come quello attuato mesi fa tra Mila e Alce Nero) induca dei cambiamenti nel mondo dei consumi, inducento di riflesso stimoli ai produttori.
Sta di fatto però che le diverse culture locali e le differenti condizioni ambientali e climatiche, oltre che orografiche, pongono dei limiti insormontabili per i più, per cui starà anche al consumatore capire che determinati territori non vocati alla produzione estensiva – o adatti a quella ovicaprina, come nel nostro centro-sud, ma non a quella vaccina – non potranno di fatto mai portare sul mercato alcunché di realmente apprezzabile.
4 giugno 2018
Un estratto dalla rassegna stampa della settimana:
Il Milk Day in Italia…
Milk Day, la Libera protagonista: una campagna contro le fake news (Cremona Oggi)
World Mik Day, l’assessore agricoltura Lombardia: ”Il latte fa bene, basta fake news” (Mi-Lorenteggio)
…e all’estero
Hechenberger zum Weltmilchtag: Unsere Milchstrategie heisst Qualitaet (Boerse-Express, Austria)
What is ‘kind milk’? Meet the dairy farm starting a revolution (Sbs.com, Australia)
Le 1er juin, on fete le-lait à travers le monde (Journal Impact European, Francia)