La crisi di vendite del latte è profonda: oltre i dati più o meno ufficiali e le motivazioni addotte a destra e a manca per giustificare un’inarrestabile flessione (parte del pubblico in fuga dal prodotto per i più disparati motivi, ndr), lo si percepisce dalle insistenti iniziative operate dalle industrie del settore, ultime in senso solo temporale quelle delle due Centrali del Latte di Torino e di Cesena.
La sensazione forte che se ne riceve è che l’insistenza sul tema del benessere animale – su cui opera ora la comunicazione della società romagnola – potrebbe sì portare qualche risultato, anche se (ci risulterebbe) nessuna vacca degli allevamenti da cui il latte viene ritirato ha conquistato la libertà di muoversi all’esterno della stalla ovvero la possibilità di brucare erba. Che per un’animale erbivoro sarebbe l’alimentazione naturale: noi e voi che ci leggete ne siamo coscienti; il grande pubblico un po’ meno. Erba senza la quale il profilo degli acidi grassi del prodotto e dei suoi derivati, si sa, non può essere esaltante.
Non si tratta della prima (né si tratterà dell’ultima) azienda che porta avanti il concetto di benessere animale per bestie costrette a vita in una stalla – sappiamo anche questo – ma pare che sul pubblico non-pensante l’argomento riesca comunque a fare presa. Dopotutto se non ci si documenta e si compra scegliendo più con l’occhio al prezzo e ad altri fattori (“latte italiano” o “benessere animale”, per l’appunto, ndr) che con il cervello e la piena consapevolezza, si merita di nutrirsi un po’ come capita. E loro, i tanti, se lo meritano anche.
Passando invece al caso delle Centrale del Latte di Torino, appare oscura l’ultima operazione che vede l’azienda immettere sul mercato un latte convenzionale (alta qualità, intero, fresco, ma da vacche in stalla, alimentate industrialmente, ndr) in una bottiglia di vetro che ci lascia non poco perplessi: sul vetro la figura ripetuta a più non posso di Pulcinella. Un Pulcinella d’autore, dato che il disegno è tratto dall’opera di Emanuele Luzzati, ma pur sempre un Pulcinella. Una figura del teatro e della cultura partenopei e non torinesi, che per di più è conosciuta per non essere mai troppo seria, di cui poco ci si fiderebbe se ci si avesse a che fare nella vita reale.
Il dubbio che ci assale è uno e non da poco: che “garante” può essere un Pulcinella se si vuole vendere un prodotto come “serio”? Ci fa sorridere poi quella che di certo è una semplice casualità: più di una volta da queste nostre pagine (leggi ad esempio qui) abbiamo parlato di un “latte di Pulcinella” alludendo ad un prodotto del Sud Italia che promette qualità senza riuscire a mantenerla (tant’è che non pubblica le analisi degli acidi grassi dei propri allevatori, ndr).
Per noi poteva bastare già quello, latte di un vero scugnizzo in mano agli scugnizzi, e ora che ce n’è un altro anche al Nord, ostentato come il primo non è, capiamo che almeno di questo secondo apprezziamo un aspetto: questo Pulcinella torinese è un personaggio che una volta tanto sa essere a suo modo “serio”, già che di fatto non promette un bel niente, e che quindi non potrà mai deluderci.
Siamo peraltro certi che qualcuno lo saprà apprezzare: il popolo degli estimatori della grafica di Emanuele Luzzati potrà compiacersi nel comperare almeno una volta nella vita il “solito latte”, in una confezione che – almeno quella – sa apparire una voce fuori dal coro dei “soliti latti”.
17 settembre 2018