Lisozima nel Grana: la base del Reggiano contesta Bertinelli

A sette mesi di distanza dalla sua diffusione (ne parlammo il 30 aprile scorso), la notizia del “declassamento” del lisozima da “conservante” a “coadiuvante tecnologico” nell’uso che se ne fa nella produzione del Grana Padano assume finalmente i toni e la rilevanza che non era riuscita ad avere allora, quando la nostra redazione sottolineò la presenza di una doppia anima della base produttiva di quel formaggio.

Da una parte, come raccontammo allora, i pochi che per una cultura agronomica locale (in provincia di Mantova, ndr) pensano, parlano e fanno di tutto per produrre utilizzando fieni (ed erba medica) del territorio, dall’altra la stragrande maggioranza dei produttori che, utilizzando latte di bovine alimentate con insilati di mais fermentati (e unifeed), non riescono a escludere il lisozima dalle proprie linee di produzione.

Il lisozima (derivato dell’uovo, quindi potenziale allergene) rimane quindi in quel formaggio, come accade da 1991 (prima di allora era utilizzata la formaldeide, cancerogena), ma la definizione “conservante” scompare dalle etichette, dopo che ai primi di maggio la sostanza in questione viene “spostata”, come per incanto, dalla lista degli “additivi conservanti” a quella dei “coadiuvanti tecnologici”, su iniziativa dell’allora Ministro della Salute Lorenzin, a insaputa degli organi europei preposti alle modifiche dei disciplinari Dop.

Il primo spartiacque di questa inquietante vicenda è contenuto nella nota n.19335 del Ministero della Salute, che proprio l’8 di maggio scorso viene recapitata agli Assessorati alla Sanità di Regioni e Province Autonome, al Ministero delle politiche Agricole, Alimentari e Forestali, al Ministero dello Sviluppo Economico e – per conoscenza – all’Istituto Superiore di Sanità e al Consorzio di Tutela del formaggio Grana Padano. La missiva è inviata dalla Direzione Generale per l’Igiene e la Sicurezza degli Alimenti e la Nutrizione / Ufficio 6 DGISAN. A firmarla è il suo Direttore Generale, Dr.ssa Gaetana Ferri.

A distanza di pochi giorni, il 15 maggio, in una sua prima circolare interna il Consorzio di Tutela del Grana Padano informa i suoi associati del risultato conseguito, e quattro mesi dopo, con un’altra circolare (la n.139, del 14 settembre), indirizzata a tutti i produttori e confezionatori, il direttore generale del medesimo consorzio, Stefano Berni, comunica che da etichette, volantini, e altri stampati dovrà scomparire la dicitura “conservante”, per cui in etichetta si dovrà riportare la dicitura “Ingredienti: latte, sale, caglio, lisozima dell’uovo”, senza piùmenzionare il termine “conservante”. A titolo di prudenza, nella stessa circolare, Berni suggerisce di “non enfatizzare nelle pubblicazioni (volantini, brochures, web, etc.) l’assenza del conservante, limitandosi ad eliminare la parola”.

La notizia, dicevamo, torna in auge in questi giorni, e per dirla tutta esplode, deflagra, per una serie di questioni che nei mesi scorsi hanno viaggiato sottotraccia, nei “dietro le quinte” di uno scenario contiguo – e sempre vigile su quanto accada nel mondo padanista – vale a dire nei territori di produzione del Parmigiano Reggiano.

Messa a fuoco la vicenda nei suoi più intimi dettagli, inquadrata la genesi dell’operazione che in primavera aveva portato all’eliminazione del “conservante”, se non dalle caldaie in cui il Grana nasce almeno dalle etichette e dai depliant di quel formaggio, i produttori del più nobile Reggiano sono insorti, in un primo momenti in maniera non plateale, cercando di innescare ogni azione possibile – attraverso il proprio Consorzio di Tutela – per contrastare un’iniziativa palesemente illecita in quanto in contrasto con la normativa europea che regola i marchi di protezione comunitari (i disciplinari di produzione si modificano su richiesta documentata degli Stati membri che deve essere approvata dai competenti uffici della Commissione Europea).

I dubbi che avevano iniziato a palesarsi tra i produtori di Parmigiano Reggiano già nel mese di maggio, per la latitanza dimostrata dal proprio consorzio su questo pur spinoso tema, si stemperano a metà giugno, quando l’ente reggiano, sotto la pressone di una parte della base produttiva, invia finalmente al Ministero della Salute un’istanza di accesso agli atti del procedimento, ivi inclusi gli allegati scientifici (con il parere in merito del Consiglio Superiore di Sanità) che avevano portato alla produzione e alla diffusione della suddetta circolare dell’8 maggio.

Istanza che il Ministero respinge il 20 dello stesso mese senza addurre alcuna legittima motivazione. La contromossa del Consorzio di Tutela del Parmigiano Reggiano si fa attendere sino all’inizio di settembre, quando l’ente di via Kennedy a Reggio invia al Presidente della Repubblica un ricorso contro il Ministero della Salute, richiedendo l’annullamento delle due note ministeriali suddette e il parere del Consiglio Superiore di Sanità sostenendo l’illeggitimità di “atti adottati da soggetti privi dei requisiti necessari per assumerli ed emanarli validamente”.

In tutta questa vicenda, nelle ultime settimane è emerso forte il malcontento di un numero crescente di produttori aderenti al Consorzio di Tutela del Parmigiano Reggiano, nei confronti del loro presidente Nicola Bertinelli, a cui viene addossata la responsabilità di un atteggiamento sin troppo morbido, la cui interpretazione da parte dei più critici è legata al fatto che il medesimo Berinelli è da alcune settimane anche il numero uno della Coldiretti regionale. Coldiretti che annovera tra i propri associati una larga schiera di allevatori e produttori di Grana Padano (il 70% circa dei 4.500 allevatori padanisti sono iscritti proprio alla Coldiretti).

Da voci raccolte in ambienti altamente attendibili si sa che nei territori del Parmigiano Reggiano molti allevatori – ma anche un numero crescente di consumatori – chiedono di avere maggiori dettagli sulla vicenda, e di poter accedere agli atti predisposti dal consorzio del “loro” formaggio. Oltre queste legittime richieste, si palesano sempre più evidenti i dubbi su un comportamento cerchiobottista di Bertinelli, che appaiono ormai diffusi e pressanti.

La sensazione dei più è che il ricorso del Consorzio di Tutela del Parmigiano Reggiano – portato avanti senza il necessario mordente – verrà respinto dal Quirinale. Se questo dovesse accadere, la chiave interpretativa è già pronta: c’è stata troppa poca convinzione e tanta mollezza nell’azione dell’ente di tutela, e l’unico dubbio, ancora da sciogliere, è quello sulla natura dei ritardi nella presentazione del ricorso medesimo: è stata colposa o dolosa?

Sullo sfondo di questo inquietante scenario non c’è né tanto né ancora la assai improbabile conferma futura di Bertinelli ai vertici del consorzio bensì il riemergere di uno spettro che pareva dissolto e che torna ora plausibile: quello del patto scellerato di chi oltre un anno fa aveva teorizzato una fusione dei due consorzi in un soggetto unico, adducendo vantaggi di comodo quali il contenimento dei costi pubblicitari e le azioni di tutela internazionale contro i cloni e l’“italian sounding”.

L’ennesimo spartiacque di questa vicenda è atteso per le prossime settimane: l’eventuale respingimento del ricorso da parte del Capo dello Stato aprirebbe scenari inquietanti, su cui nessuno averebbe puntato un cent solo due mesi orsono.

26 novembre 2018