In.Al.Pi.: fenomenologia di un brand che dal piano guarda il monte per poi veder… le stelle (Michelin)

foto dalla pagina Facebook di In.Al.Pi.©

Cosa vorrà mai dire “Inalpi”? Sino a pochi anni fa, quando nel 2010 l’azienda iniziava a produrre tonnellate di latte in polvere per la Ferrero di Alba, il consumatore non doveva neanche chiederselo, perché nel nome dell’azienda di Moretta (nella bassa cuneese, a 262 metri sul livello del mare) figuravano correttamente tre punti, dopo le tre sillabe “In”, “Al” e “Pi”. Sillabe di un acronimo che stavano (e stanno) a significare semplicemente “Industria Alimentare Piemontese”.

Poi, attorno alla fine del 2013, in previsione dell’esordio sul mercato della nuova linea di derivati del latte prodotti per la grande distribuzione organizzata, i puntini scomparvero, preparando il logo al restyling che avrebbe nel tempo introdotto una sorta di “baffo” (in basso a destra nell’immagine qui sotto) che, di lì a poco, si sarebbe trasformato, come per magia, in un profilo di montagne. Quelle stesse montagne che si possono ammirare dalla pianura di Moretta, per l’appunto, in lontananza. Montagne che la In.Al.Pi. ha ben pensato di affiancare al proprio nome, pur essendo un’azienda di pianura che ritira latte (prevalentemente) in pianura.

La camaleontica trasformazione del logo-marchio In.Al.Pi.: prima l’elisione dei tre punti (acronimo di “Industria Alimentare Piemontese”), poi l’inserimento di un simbolo di montagna che evoca per l’appunto le Alpi. Ma l’azienda è in pianura e ritira prevalentemente latti di pianura

Oggi, all’osservatore ignaro di tutto ciò (vale a dire alla gran parte dei consumatori) il logo Inalpi, con quell’effige in fianco non può significare altro che “nelle Alpi”, vale a dire esattamente ciò che non è: “latti e latticini di montagna”. Che l’azienda non produce. Ma a cui all’azienda piace accostare l’idea.

Della questione ci occupammo il 5 febbraio con l’articolo “Inalpi e il latte alpino di pianura: la denuncia dell’avvocato Dongo non trova spazio sui media italiani”, dopo che lo stesso legale – cofondatore del quotidiano Il Fatto Alimentare – aveva trattato la questione nell’articolo “Latte alpino falso”, pubblicato dal sito web “Great Italian Food Trade” il 1° febbraio.

A distanza di mesi, e dopo che l’azienda era stata sanzionata, nel gennaio del 2014, dal Garante per la Concorrenza ed il Mercato a causa di una pubblicità ingannevole (ingannevoli erano le diciture sulle confezioni di sottilette, non solo i claim pubblicitari), ecco che oggi l’azienda appare sempre più impegnata a far parlare di sé, investendo in pubblicità e azioni di marketting ovunque ci sia da promuoversi in maniera eclatante.

Spesso supportati da rilevanti codazzi elogiativi in cui, oltre ai responsabili delle confederazioni agricole appaiono volentieri, alla bisogna, quei politici regionali che, un po’ per il piacere di apparire, un po’ perché in certe occasioni non si può mancare, va a finire sempre che ci sono. Se non altro per dare una mano. Confederazioni e politici a cui, è evidente, l’azienda sita sul piano di Moretta ma con una forte attrazione per le Alpi, ama accostare il proprio nome. E il proprio fare.

Sulla montagna (ideale) per rimirar le stelle (Michelin) – E così, come per mettere la ciliegina sulla torta, una volta creatasi un’immagine “montana”, l’azienda ci deve aver preso gusto, già che dall’alto delle Alpi le stelle si vedono assai meglio che dalla pianura. Fatto sta che, dopo una serie di sponsorizzazioni di medio e basso profilo (fiere di tartufi, convegni a destra e manca, conferenze e open house), l’occasione ghiotta si è creata con la presentazione della Guida Michelin 2019 (quest’anno all’Auditorium Paganini di Parma), occasione in cui l’editore cerca di coprire i costi vivi (e di guadagnarci qualcosa) vendendo spazi fisici (stand) e grafici (pannelli, bruchure, etc.), garantendo ai “Partner Ufficiali” (questa la definizione coniata dall’editore per gli sponsor) di avvicinare i nomi quelli di chef più o meno noti (Mauro Uliassi magari da lontano, i giovani emergenti da vicino) ai nomi delle aziende “partner”. Come a far credere agli astanti, tanto quelli accorsi sul posto, quanto alla moltitudine dei social, che quelli lì – sì, proprio gli chef di cui oggi si parla così tanto (dopo i calciatori se la battono con i tronisti del Grande Fratello), usano i loro prodotti.

Che poi sui suddetti pannelli ci siano nomi come Barilla, Panna Chef e persino Metro poco importa a “partner” relativamente piccoli ma arrembanti: lo sponsor paga e ha il diritto di far vedere ciò che meglio crede. Anche se molti cuochi – o chef che dir si voglia – ne farebbero di sicuro a meno di far pensare che la spesa la vanno a fare alla Metro. “Più per comodità”, direbbe qualcuno, “perché si trova tutto, e i prezzi sono “giusti”, che altro.

Di tutto questo ci sono davvero pochi riscontri sul web: uno fra tutti, quello di “Targato CN” – testata avvezza ai pubbli-redazionali come poche altre – tratta della sponsorizzazione In.Al.Pi.-Michelin, di per sé poco significativa se non fosse parte di un’operazione di comunicazione assai più ampia, con i toni del trionfo. Un trionfo che ancora una volta non è e non sarà quello di molti consumatori.

3 dicembre 2018