Le festività da poco trascorse hanno visto il rinfocolarsi delle polemiche sull’elisione dell’aggettivo “conservante” dalla lista degli ingredienti utilizzati per la produzione del Grana Padano (in base alle disposizioni del Ministero della Salute rimarrebbe la semplice dicitura”lisozima dell’uovo”). Polemiche aspre, divampate tra il Consorzio di Tutela del Grana Padano e varie componenti del mondo produttivo, economico e politico del territorio in cui viene prodotto il Parmigiano Reggiano: dagli allevatori ai trasformatori, dagli editori ai politici, tanto per non farsi mancare nulla.
Commenti graffianti, illazioni, repliche al vetriolo, e minacce di querela a destra e manca hanno portato la diatriba fuori dalla sfera del civile confronto di idee e di posizioni. Come se non bastasse, poi, il consorzio di Desenzano sul Garda ha deciso di acquistare intere pagine di quotidiani, per replicare e minacciare richieste risarcitorie.
Richieste annunciate dal presidente Cesare Baldrighi, poi confermate e motivate dal direttore generale del Consorzio di tutela del Grana Padano, Stefano Berni, che in una dichiarazione riportata da più quotidiani ha dato così spessore alle ipotesi: “le richieste risarcitorie già in corso non sono basate sulla manifestazione di opinioni e pareri diversi e legittimi che, come sempre, rispettiamo, bensì su volgari accuse infondate circa l’intenzione di ingannare i consumatori o su insane collusioni politiche finalizzate a raggiungere tale obiettivo o dal bisogno di mascherare qualità scadente e improprie “scorciatoie” produttive a danno del popolo dei consumatori” (maggiori dettagli su Reggio Report del 2 gennaio).
Le pressioni sulla stampa – Le pretese di ottenere un risarcimento per danni (d’immagine ed economici) sono state prontamente bollate da una parte dei media coinvolti come delle “pressioni intimidatorie” operate nei loro confronti. Un aspetto della vicenda che ci riporta alla mente una disputa giuridica di oltre dieci anni fa tra il medesimo consorzio (che chiedeva un risarcimento di milioni di euro) e il direttore responsabile di “Alimenta”(*), mensile tecnico-giuridico della produzione alimentare, Dr. Antonio Neri, poi conclusasi in una bolla di sapone.
Interessante rimandare il lettore alle conclusioni che il Dr. Neri adduceva, nell’insistere, da punti di vista squisitamente tecnici (gli articoli “incriminati” furono almeno tre, tutti scritti da eminenti esperti delle produzioni alimentari), sull’uso del lisozima nella produzione casearia: “Cerchiamo di guardare oltre l’uso del conservante in sé stesso, e vediamo di parlare della qualità del latte, un latte con (potenziale) presenza di clostridi (derivanti dall’alimentazione a base di insilati fermentati; per saperne di più leggi qui la puntuale spiegazione dell’esperto Agostino Macrì sul sito “Sicurezza Alimentare”, ndr) sulle cui specificità”, sosteneva Neri, “bisognerebbe lavorare per risolvere a monte la questione ed eliminare finalmente il lisozima”.
L’affondo di Lorenzo Fanticini – A segnare ora la vicenda è l’aspetto mediatico che questa ha assunto nelle ultime settimane: oltre alle schermaglie, al di là dei botta e risposta tra “accusatori” ed “accusati” (chi vorrà cercare “lisozima” su Google News troverà diversi articoli da leggere) si sono innescate altre questioni che hanno arricchito la disputa, prima tra tutte la denuncia-esposto che l’imprenditore agricolo reggiano Lorenzo Fanticini ha inviato il 27 dicembre ad ICQRF (Ispettorato Centrale della Tutela della Qualità e Repressione Frodi), Nas dei Carabinieri di Parma e AGCoM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato).
Una denuncia, quella di Fanticini, che prende il via alla vigilia di Natale, quando l’operatore reggiano acquista in un supermercato della sua zona una punta di Grana Padano al fine di far sua quella che sarà la base dell’esposto: l’etichetta. E proprio sulle diciture riportate in etichetta (in apertura di questo articolo, la foto allegata da Fanticini alla denuncia, ndr) si basano le argomentazioni dell’operatore reggiano, a partire dalle disposizioni Ue sulle pratiche leali d’informazione e tutela del consumatore.
“Si suppone”, scrive Fanticini nell’esposto “che la mancata indicazione del lisozima quale conservante non sia frutto di un banale errore o di un’iniziativa estemporanea, ma piuttosto di una campagna di disinformazione orchestrata e diretta dal consorzio per la tutela del formaggio Grana Padano”, già che il 14 settembre “il Direttore Generale del Consorzio”, prosegue Fanticini, “dispone – in modo perentorio – che nelle etichette delle confezioni di Grana Padano e nelle note (volantini, brochures, ecc.), dovrà scomparire …la parola conservante”.
“Che si tratti di un tentativo di eludere le disposizioni riguardanti l’etichettatura”, prosegue Fanticini nella denuncia, “di realizzare pubblicità ingannevole e di violare l’obbligo di fornire leali informazioni ai consumatori è inoppugnabilmente dimostrato dall’invito (indirizzato dal consorzio a soci produttori e confezionatori di Grana Padano, ndr) a “non enfatizzare nelle pubblicazioni (volantini, brochures, web, ecc.) l’assenza del conservante, limitandosi ad eliminare la parola””.
“I consumatori debbono sapere che lì dentro c’è un conservante”
Tutto gira, è evidente, attorno a quell’aggettivo (conservante) scomparso dalle etichette del Grana Padano, e alle conseguenze che quella modifica comporta, per i produttori di Parmigiano Reggiano e per i consumatori tutti. Scrive Fanticini: “…visto che è ancora un obbligo di legge (la dicitura “conservante” in etichetta, ndr) sebbene qualche solerte funzionario non la pensi così e che spero rimanga un obbligo di legge ancora a lungo, stamattina ho inviato PEC” con denuncia, indirizzata ai suddetti enti preposti alla vigilanza, alla leale concorrenza, alla repressione degli illeciti.
Scrive Fanticini alla nostra Redazione: “…il silenzio su tutta la questione è stato quasi totale da maggio a dicembre. Ora anche la Provincia di Reggio Emilia e i Sindaci hanno scoperto la questione (ben svegliati!). Restano in silenzio ufficiale, sinistro e immotivato, le associazioni di categoria agricole (e quelle dei consumatori, aggiungiamo noi!, ndr): non ho ancora sentito un solo fiato in merito da parte di nessuno. Mi auguro che questo mio atto possa scuoterle un pochino: sarebbe ora!”.
“Spero anche”, prosegue l’imprenditore reggiano, “che non resti impunita l’arroganza di chi, forte soltanto di un parere, consiglia ai propri consorziati di far “scomparire” informazioni importanti per i consumatori (Fanticini allude qui alla circolare del 14 settembre con cui il Consorzio del Grana Padano istruisce produttori e confezionatori non solo sull’eliminazione della parola conservante dalle etichette ma anche sul basso profilo da mantenere pubblicamente su questo “risultato”)”. “Ma soprattutto”, prosegue l’imprenditore reggiano, “sono convinto di aver aiutato anche il ministro Giulia Grillo a fare luce su chi, all’interno del Ministero, ha deciso di “garantire” difesa e protezione, in modo sinistro e sospetto, al Consorzio del Grana Padano…”. Firmato Lorenzo Fanticini, Reggio Emilia.
La stampa nazionale non ne parlerà – Nel frattempo, giunti al 7 gennaio, qualcosa si muove, finalmente, nell’ambito della stampa nazionale: la versione online del quotidiano Libero pubblica un articolo di Attilio Barbieri intitolato “Scoppia la grana del Grana: Parmigiano contro Padano, tutta colpa di un enzima”. Potrebbe essere la scintilla che innesca il boato di cui il mondo dei consumatori avrebbe tanto bisogno: per capire, per scegliere, per decidere. E invece no, ancora una volta non accadrà nulla perché in molti, in troppi – ahinoi! – tra il dovere d’informare e la necessità di non disturbare opteranno – ancora una volta – per la seconda delle due ipotesi. Le pianificazioni pubblicitarie portano nelle casse degli editori milioni di euro senza i quali molte testate dovrebbero chiudere i battenti, e un occhio di riguardo per i (potenziali) inserzionisti viene (quasi) sempre mantenuto.
14 gennaio 2019
Aggiornamento del 16.01.19: leggi la precisazione del Consorzio del Grana Padano
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(*) Concludendo ci corre l’obbligo di porgere un dovuto omaggio al mensile “Alimenta” che, dopo 26 anni di onorata attività, con l’ultimo numero di dicembre 2018 ha comunicato la fine delle pubblicazioni, per raggiunti limiti di età del suo artefice, Antonio Neri