“Verde latte Rosso”: la ‘’fake news’’ degli industriali del latte avanza a colpi di retorica

L’Italia che per lunghi anni ha voluto farci credere di essere il Paese dei primati, ci appare sempre più come il Paese dei paradossi. E delle menzogne. Un Paese in cui la vanagloria di molti pare voler oscurare i tristi primati che ci inducono a sprofondare nelle più importanti classifiche mondiali, fanalini di coda oramai tra i Paesi occidentali per il reddito pro-capite, per la crescita demografica, per la sicurezza nei luoghi di lavoro, per la qualità delle acque, per la qualità dei servizi pubblici e chi più ne ha più ne metta.

In campo agro-alimentare poi, se ci osservassimo con gli occhi di un’obiettività che – a quanto pare – più non ci assiste, ci sarebbe poco da rallegrarsi: per le troppe produzioni intensive, per aver dimenticato le consociazioni e le rotazioni in agricoltura, per le troppe monocolture altamente impattanti, per i terreni dei frutteti intrisi di chimica all’inverosimile, per l’infinità di latti, carni e derivati prodotti da animali che non conoscono il vero benessere, in quanto largamente alimentati a mangimi insilati (anche per la gran parte delle Dop) e privati della libertà di muoversi all’aria aperta, in un prato. Un esercito di ruminanti – erbivori, sino a prova contraria – violentati nella loro naturale predisposizione alimentare, in nome delle alte rese produttive e del business di pochi (sempre meno di chi alleva; sempre e comunque di chi trasforma, ndr).

Se ne potrebbero elencare all’infinito, di paradossi di fronte ai quali oggettivamente il proposito di sentirsi superiori ad altri (ancora la retorica del “made in Italy?!?) si dissolverebbe come neve al sole. Ma fermiamoci qui, che ci siamo ben capiti, e agganciamoci adesso a quell’attualità con cui, settimana dopo settimana, aggiorniamo i nostri lettori sui fatti e sui misfatti del settore.

Il buon latte non è bianco ma giallo Un’attualità, quella a cui ci riferiamo oggi qui, davanti alla quale il buonsenso grida vendetta, già che l’Alleanza delle Cooperative Agroalimentari, di fronte ad una crisi di vendite (del latte, ndr) che non intende fermarsi, non ha adottato alcun tentativo concreto per opporsi a quella, né si rassegna ad una domanda in progressiva caduta libera, ma spende soldi (soldi pubblici, ovviamente) per un’iniziativa mediatica denominata “Verde latte Rosso”. Un’iniziativa che offende le intelligenze di chi sa e ottunde le coscienze di chi magari, tra una menzogna e l’altra, avrebbe il diritto di sapere.

Determinati a parlare di “valorizzazione della filiera lattiero-casearia italiana” definendola “la più sicura al mondo, con i suoi prodotti di eccellenza” (in barba al crescente numero di problematiche legate alla beta-caseina A1, che caratterizza i latti industriali), i vertici di questa assai poco virtuosa congrega, tornano a propinarci il trito concetto di “made in Italy” laddove chi all’estero ha acquisito coscienza su cosa sia ormai il nostro agro-alimentare, massivo e iper-industriale, ci legge come una banda di “Mads in Italy”, maestri oramai nel veicolare retorica, luoghi comuni e menzogne per l’appunto pazzesche.

Se tutto ciò non bastasse, sempre più ci stiamo facendo notare per quel piagnisteo tipico coldirettiano e politichese per cui se un problema lo abbiamo – e ne abbiamo di certo tanti, purtroppo – non cerchiamo di individuarne le cause e i correttivi per risolverlo, ma avviamo la litania delle lamentazioni: raccontando che “ci copiano, che non ci capiscono, e che – udite udite – ci mettono in crisi anche con le “fake news””.

Ebbene sì, la teoria delle “bufale” più o meno social viene così ancora una volta rispolverata e trova in molti media compiacenti una sponda per la divulgazione (leggi qui come la racconta il Corriere della Sera, o fai una ricerca su Google scrivendo tra virgolette “verde latte rosso”), con l’allusione alla campagna di dissuasione dal consumo del latte che nel tempo è montata, dapprima negli ambienti animalisti e che poi, non esistendo confini netti tra quella categoria e “gli altri”, si sta allargando a macchia d’olio, sfiorando, toccando o penetrando le coscienze di un crescente numero di persone. Un fenomeno sociale strisciante, potente e irrefrenabile, in quanto basato sui passaparola, oltre che sulle armi di diffusione del web – social network in testa – di fronte al quale nessuno strumento di coercizione mediatica – se ne facciano una ragione lor signori – potrà avere alcun effetto rilevante.

L’(ab)uso del tricolore – E così, ancora una volta, di punto in bianco, la retorica del “made in Italy” ci viene riproposta, trita e logora, attraverso l’uso di una bandiera accompagnata dalla dicitura “Verde latte Rosso” che vorrebbe suonare come affabulazione creativa e che invece si spegne mestamente in sé, in quanto prima tra tutte le “fake news” possibili, in materia di latte.

Perché il latte, come il burro e i formaggi (vaccini), dovrebbe essere giallino (per il betacarotene dell’erba, che le vacche dovrebbero mangiare) e non bianchiccio (per il mais di cui sono costrette a nutrirsi), per essere buono. Oggi lo sappiamo in pochi, forse (ma siamo un numero di sicuro crescente); domani lo sapranno molti altri, già che sul burro la breccia è stata aperta, dopo decenni di mala informazione sulla margarina (le “fake news” degli Anni Sessanta e Settanta: chi ha qualche capello grigio le ricorderà di certo, ndr) che tanto hanno pesato sulla salute degli italiani.

A proposito di burro, a quanti si interessino di quello buono, ma per davvero, tornerà utile scoprire che l’industria italiana – ce lo racconta l’attendibile sito web IlPost.it in questo interessante articolo – si starebbe attrezzando per colorarlo di giallo, laddove nasca bianco. Per scoprire quando questo accade – o accadrà – basterà leggere gli ingredienti indicati sulla confezione. Quegli ingredienti che il popolo italiano – e l’industria ben lo sa – legge purtroppo assai poco di frequente.

Una prospettiva, quella del colorante nel burro, che solo pochi anni fa sarebbe sembrata impossibile e che un giorno potrebbe essere adottata (perché no?) anche dagli idustriali del latte, una volta che i consumatori avranno capito – e lo capiranno, prima o poi, grazie all’incalzare del latte fieno altoatesino – che anche il colore del buon latte, al pari di quello del buon burro, dev’essere giallo.

29 aprile 2019