Il latte fieno non si fa solo in montagna. Qualcuno lo dica a quelli di Panorama

Abbiamo già manifestato, più d’una volta, su queste pagine, il nostro compiacimento per il crescente interesse che i media generalisti (giornali cartacei, siti web, televisioni nazionali) stanno dimostrando per il mondo delle produzioni zootecniche sostenibili, per il latte fieno ed i suoi derivati. La consapevolezza dei consumatori e l’incremento delle vendite di questi prodotti dipendono anche (soprattutto per prodotti innovativi) dalla diffusione di notizie corrette, frutto di approfondimento, impegno e dedizione al proprio lavoro di giornalisti che lavorano per testate in grado di offrire ai propri lettori le informazioni giuste. Una questione non da poco, che al tempo d’oggi – bombardati come siamo dalle notizie patinate degli uffici stampa – non dobbiamo dare mai per scontata.

Una premessa questa che, a dispetto dell’ovvietà che sembra palesare, risulta necessaria oggi, anche a seguito di un articolo che il settimanale Panorama del 19 maggio ha dedicato proprio al latte fieno. Un articolo che oltre ad essere farcito di errori (“Natralmente”, “escherichia choli” e “proporietà”: i grandi media non hanno più i correttori di bozze?, ndr) risulta approssimativo nei contenuti e fuorviante nella sostanza, già a partire dal titolo: “Latte fieno: qualità e benefici di un “super latte” di montagna”. Un esordio di fronte al quale chi ha un minimo di competenza in materia non può che rimanere sbigottito. In primo luogo perché il disciplinare di produzione non pone alcun vincolo altimetrico ai requisiti che l’allevatore deve avere. In secondo perché di latti fieno – e di latti anche superiori ad esso – se ne producono anche in pianura, per di più da allevamenti che hanno avuto il merito di riconvertire da intensivo ad estensivo.

L’articolo, firmato da Maddalena Bonaccorso (giornalista non particolarmente dedita al mondo del food) denota palesemente delle carenze di base in materia, da parte della sua autrice, che snocciola affermazioni contestabili nella forma e nella sostanza, dicendo che “questo nuovo super latte… …da qualche mese è approdato nei supermercati italiani di alta fascia” (aiuto, quali sono?) e che il medesimo “costituisce la base per alcuni tra gli yogurt biologici più nutrienti che si possano trovare in vendita” (cosa voleva dire? più nutrienti o forse con valori nutraceutici maggiori?).

Per non parlare poi dello slancio con cui l’autrice tenta – supponiamo in totale autonomia, vale a dire senza l’ausilio di alcun esperto di cibo, questo è palese – una descrizione organolettica del prodotto, arrivando a affermare che – udite udite – “…possiede un retrogusto erborinato (sic!) dovuto alle diverse essenze dei pascoli…” e aggiungendo che il “latte “normale” – prodotto da bovini nutriti con mangimi industriali… …ha spesso un sapore poco strutturato, con caratteristiche uguali per tutti”. Commovente lo sforzo, ma censurabile il risultato. Bocciata per scarsa competenza, e ancor prima di lei chi le ha affidato la stesura dell’articolo.

Ma il peggio deve ancora arrivare, anche se a qualcuno, a questo punto, potrebbe apparire impossibile. E arriva quando Bonaccorso si lancia nella descrizione delle realtà che questo latte producono. Una descrizione che appare come condizionata da un racconto parziale (regionale? provinciale?), che la porta a dire che “quasi tutti gli allevamenti – ma è più corretto parlare di masi, date le piccole dimensioni di queste stalle, che di solito contano solo una ventina di mucche – che si dedicano al super latte si trovano nelle montagne dell’Alto Adige”, affermazione di fronte alla quale un dubbio sorge, ed è il dubbio – legittimo – che l’articolo sia stato costruito su un’unica fonte di informazione (qualche produttore o ente altoatesino forse?, ndr): limite che stride con almeno tre dei principali dettami del buon giornalismo: 1. l’obiettività; 2. il dovere di approfondire e verificare prima di scrivere; 3. il dovere di sentire sempre almeno un’altra “campana”.

Ci fermiamo qui, anche se l’articolo di limiti ne manifesta un’infinità d’altri (sul maggior costo che avrebbe la produzione di questo latte, sulla nascita di cooperative altoatesine, sugli addensanti utilizzati negli yogurt “normali”, etc.) su cui sorvoliamo per non tediarvi. Bene, anzi male, perché tutto questo, oltre a seminare tanta approssimazione nel consumatore, rischia di essere per altri giornalisti (la categoria che più ha abusato del “copia e incolla” ancor prima della nascita del web) il volàno per altri articoli errati e fuorvianti. Esattamente il contrario di quello che un mercato fragile – ancora nel suo stato embrionale – meriterebbe di avere, da parte di chi dovrebbe sentire il dovere di in-formare.

27 maggio 2019