È evidente, oramai in diversi àmbiti, quanto l’Italia si stia impegnando con tutte le sue forze e in ogni occasione nel dimostrare al mondo intero di essere una nazione a sé, di volersi ancora distinguere. Ma non riuscendo più a farlo nel campo della qualità e dell’eccellenza, pare essersi avviata in un’era buia, in cui l’italianità — quando diversa da un indistinto globale — riesce sì a farsi notare, ma quasi sempre per il peggio o il mediocre che si possa esprimere.
Riflessioni opinabili, certo, sentenze brevi, che se andassimo in profondità verrebbero smentite qui e là da un fatto o da un personaggio di successo, o da un’eccezione. Un’eccezione che riconfermi la regola: l’Italia è un Paese decadente.
A chi si occupi di lattiero-caseario basterebbe dare un’occhiata alla rassegna stampa internazionale di settore della scorsa settimana per notare come il Milk Day — la Giornata Mondiale del Latte — sia stato trattato più meno in tutto il mondo con modalità e contenuti ricchi di stimoli rispetto a quanto sia stato fatto da noi.
Basterebbe dare un’occhiata alla stampa austriaca e spagnola, ad esempio, ma anche a quella statunitense, per vedere che la necessità di produrre un latte migliore — per chi lo beve, per chi lo produce e per l’ambiente — emerge tra le righe, ma anche dai titoli degli articoli, e non necessariamente dalle testate specializzate.
Da noi invece? Da noi, com’è ormai consuetudine, prevale la lamentazione: “i consumi sono in calo”, dicono gli esperti o i sedicenti tali, e guarda caso la colpa è addossata sempre su qualcun altro o qualcos’altro: sui “vegani che boicottano il settore”, sugli “stili di vita, che non sono più gli stessi”, sul “crollo delle natalità”, sugli “intolleranti” (o presunti tali), e sulle “fake news”.
A spingere su questi tasti, sempre meno credibili per chi sappia guardare altrove e meglio (se esiste il buon latte — ed esiste — ne esisterà uno peggiore, voi che dite?) troviamo sempre i soliti noti: esperti nutrizionisti che sono ospiti fissi e spintanei di trasmissioni televisive per un pubblico incapace di guardare oltre gli slogan (“il latte è buono e fa bene: consumatelo”), confederazioni agricole che non sembrano operare nell’interesse dei contadini, l’associazione degli industriali del latte, Assolatte e, da qualche tempo, l’Unione Nazionale Consumatori, che più che un’associazione per la difesa dei diritti di chi consuma a noi ci appare (spesso in tv con il suo presidente Massimiliano Dona) come un potente centro media sempre pronto a sostenere le ragioni dei grandi produttori, delle lobby, presentandole regolarmente dal loro lato più accattivante, bello e plausibile.
In tanti quindi, sono impegnati a parlare di latte, in Italia, sempre piangendosi addosso, laddove nello stesso tempo autorevoli fonti estere — e qui entriamo nello specifico — hanno trattato nei giorni scorsi di produzioni sostenibili (articolo in lingua inglese), di alimentazione animale e impatto ambientale (in lingua spagnola), di qualità dei consumi e di naturalezza delle produzioni (in lingua tedesca).
Da noi nulla di tutto questo, come se qualcuno ci volesse costringere a non sapere, a sorbirci sempre e solo la solita logora litania: produciamo un buon latte e ci boicottano, e poi gli stili di vita, e il crollo delle natalità, e le maledette fake news. A distinguersi nel male prima ancora che nel bene (qualcuno fa parzialmente eccezione, per fortuna), tante testate giornalistiche, tra cui negli ultimi tempi sono emerse Il Messaggero, RaiNews e l’Ansa, solo per fare tre nomi, che ancora una volta affermano tesi stereotipate, oltre che facilmente confutabili.
Il settimanale Panorama si riscatta prontamente – Unico tra i giornali online più seguiti dal grande pubblico a proporre qualche spunto di riflessione, è stato — in occasione proprio del Milk Day — il settimanale Panorama, con un articolo di Maddalena Bonaccorso, che prontamente pare riscattarsi dalle critiche che di recente le avevamo mosso, per qualche imprecisione sul latte fieno.
Ancora una volta Bonaccorso scrive di latte, e a differenza della precedente lo fa col piglio giusto, andando a intervistare chi evidentemente non ha né peli sulla lingua né interessi di parte, vale a dire il Prof. Enzo Spisni, che dirige il Laboratorio di Fisiologia Traslazionale e Nutrizione del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche ed Ambientali dell’ Università di Bologna. Nelle sue affermazioni Spisni offre uno spaccato autentico e quantomai efficace della situazione in cui il mondo del latte versa, non solo in Italia, ma in tutti i Paesi in cui il prodotto è stato oltremodo industrializzato.
«Alla base della “caccia alle streghe” che si è verificata intorno al latte vaccino negli ultimi anni» argomenta Spisni a Panorana, «c’è un problema di fondo, e cioè il fatto che l’industrializzazione del processo produttivo ha effettivamente cambiato il prodotto originario. Cioè, il latte che beviamo noi oggi è profondamente diverso da quello che bevevano 50 anni fa i nostri nonni, mentre noi siamo fondamentalmente rimasti uguali, dato che la fisiologia umana impiega molte centinaia di anni a modificarsi. Quindi questo latte di oggi, che è più ricco di caseine è effettivamente più infiammatorio: questo non vuol dire che faccia male, ma di certo è diventato un alimento complicato che non tutti riescono a digerire».
“Alla base di queste problematiche di digeribilità del latte “moderno””, spiega Bonaccorso, “c’è innanzitutto l’alimentazione delle mucche, il cui stomaco è programmato per nutrirsi di erba e fieno mentre negli allevamenti si usano mangimi industriali, cereali e soia. Più sono le proteine che vengono somministrate alle mucche, più aumenta la sintesi di caseine, meno il latte è digeribile”.
Per chi voglia saperne di più, sulle preziose informazioni del Prof. Spisni e per chi voglia leggere l’interessante articolo — penalizzato da un titolo (“Latte: il futuro è nell’alta qualità”) scritto probabilmente dalla redazione — basterà cliccare qui. Un articolo che oltre ad accendere i riflettori su alcune delle problematiche proprie della produzione industriale, mette in luce, per contrasto, quanta cattiva informazione venga proposta normalmente al pubblico italiano.
Visto che tanto si parla di fake news, giudicate voi ora dove siano queste e chi abbia interesse a metterle, ad ogni pie’ sospinto, in circolazione.
10 giugno 2019