Ingannevolezza del messaggio Danaos: e se fosse l’Università di Piacenza a perdere di credibilità?

La multa comminata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Agcm) alla Danone, nel 2012, per la pubblicità ingannevole dello yogurt Danaos, è tornata alla ribalta nei giorni scorsi, con il respingimento del ricorso aziendale da parte del Tribunale Amministrativo Regionale (Tar) del Lazio.

In sostanza, se lecito è produrre uno yogurt addizionandolo di calcio, meno legittimo risulta portare il consumatore a credere in un sequel di panzane, dispensate un po’ oggi, un po’ domani, attraverso messaggi che la scienza stessa (pesantemente coinvolta da Danone nell’operazione) avrebbe il dovere di non veicolare, di censurare, di contrastare, per il bene dei consumatori e per quell’impegno ad operare “in scienza e coscienza” che ogni ricercatore dovrebbe avere in sé, in teoria, e in ogni sua azione.

In sostanza è falso quanto affermato nelle pubblicità Danaos, vale a dire che: a. due donne su tre sarebbero carenti di calcio; b. che il prodotto riesca a soddisfare il 50% del fabbisogno giornaliero di calcio. Tanto quanto non sono veritieri: c. la strumentale comparazione tra quello yogurt e altri alimenti ricchi di calcio; e d. l’allusione ad una partnership, non ben specificata, con il Policlinico Gemelli.

La scienza al servizio dell’ingannevolezza? – Una scienza quindi che, a guardar bene, Danone usa dal lontano 1991 (anno dell’istituzione dei “Danone Institute – Nutrition for Health”) per piegare le scelte dei consumatori, attraverso i suoi strumenti di comunicazione, alla massima convenienza del proprio business. Una scienza che in Italia ha nomi e cognomi che meritano d’esser fatti: due tra tutti, quello della Fondazione Istituto Danone, per l’appunto, vale a dire lo strumento scientifico aziendale, arma del marketing e delle vendite, e quello del Prof. Lorenzo Morelli, docente e direttore del DiSTAS (Dipartimento di Scienze e Tecnologie Alimentari per una filiera agroalimentare Sostenibile) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza che, al contempo, è direttore della suddetta fondazione.

Lungi da noi il voler puntare il dito sui temi del conflitto d’interessi, ci preme sottolineare come la suddetta università, attraverso uno dei suoi uomini di punta, risulti asservita ad una business and corporate strategy che dal punto di vista deontologico risulta ora palesemente indifendibile. Lancinante in queste ore è il silenzio in cui il suddetto professore e chi lo ha a busta paga – l’Università Cattolica del Sacro Cuore e la Fondazione Istituto Danone – si sono trincerati, di fronte al popolo dei consumatori turlupinati.

A nostro avviso, dopo una tale sentenza, lo spessore, la rilevanza, il prestigio di almeno due delle parti in causa (Prof. e Università), avrebbero richiesto, in alternativa al pronunciamento che non c’è stato, un doveroso passo indietro, attraverso le dimissioni dell’uno e l’interruzione della collaborazione tra le parti. In mancanza di ciò, agli occhi dei consumatori (quantomeno di quelli capaci di esercitare un giudizio critico, ndr), è l’Università a subire il danno d’immagine più rilevante, e una perdita di credibilità, per una vicenda tanto negativa quanto lo è la pratica dell’inganno.

17 giugno 2019