La transumanza è alle spalle: Bressanvido attende l’orgia del formaggio-monstre

Anche quest’anno il “formaggio della transumanza” è in produzione: peserà una tonnellata e accontenterà il pubblico che si fa attrarre dai grandi numeri – foto dalla pagina Facebook “Transumanza di Bressanvido”

La transumanza vive da qualche tempo un incremento dell’interesse dei consumatori, laddove la si pratichi, e in qualsiasi forma il trasferimento degli armenti (spesso con i camion, purtroppo) avvenga. Il revival della movimentazione di greggi e mandrie è anche il frutto della candidatura che l’Italia ha avviato, all’inizio del 2018, per ottenere il riconoscimento Unesco di patrimonio culturale immateriale dell’umanità.

Da allora non passa settimana che da qualche lembo del Paese non si levi un’ode alla migrazione stagionale degli animali, orizzontale o verticale che sia, breve o lunga, di pecore o vacche o capre poco sembra interessare. Tutti sono pronti a vantare un’adesione ad una pratica che spesso si era persa e che ora si sta recuperando (o si dice di recuperare) spesso più per mire economiche o di immagine che per un vero attaccamento alla tradizione, e all’erba da brucare (si pensi solo al Bitto Dop, che porta mangimi in alpeggio!, ndr).

A Bressanvido, nella bassa vicentina, a poco più di 20 chilometri dal capoluogo, dove il termine “transumanza” richiama alla mente l’iperbole di una forma di cacio di dimensioni straordinarie (una rappresentazione che pare irridere all’intelligenza della gente, tanto il “famolo grande” è lontano dalle comunità pastorali) da noi già narrata due anni fa, ecco che in questi giorni si avviano celebrazioni straordinarie, che ancora una volta sfoceranno (ahinoi!) nella carovana del “cacio più grande” che c’è.

Celebrazioni ed evento con cui i fautori della kermesse invocano uno sviluppo economico e turistico possibile, attraverso la presentazione del libro e della mostra intitolati “Lana pecore e pastori” in cui la transumanza viene posta “a cavallo tra rito e folklore”.

La transumanza dello scorso fine settimana da Asiago a Bressanvido – foto dalla pagina Facebook “Transumanza di Bressanvido”

“Portare a valle le mandrie per prepararsi all’inverno”, racconta in questi giorni il sito web del Festival dell’Agricoltura di Bressanvido “è una ricorrenza che la famiglia Pagiusco (gli ultimi pastori locali, ndr), la Confraternita dei Transumanti e la locale Proloco onorano ogni anno”. “L’evento”, prosegue il sito, “animato da allevatori e malghesi in abiti tradizionali, insieme a centinaia di bovini addobbati per l’occasione, ha un forte richiamo turistico”.

Per sostenere la celebrazione della transumanza dell’ultima famiglia di pastori (di vacche), i fautori del progetto hanno organizzato la mostra fotografica “Lana, pecore, pastori tra il monte e il piano”, che fa parte di un’articolata e quantomai variegata manifestazione realizzata a Marostica dall’associazione Mondo Rurale, della quale trova spazio anche la presentazione del libro omonimo (”Lana pecore e pastori fra il monte e il piano”), che approfondisce i temi legati però ad un’altra pastorizia, quella ovina, legata alla manifattura laniera che ebbe un ruolo importante nell’economia del territorio, lungo i secoli.

“Quello di Bressanvido è quindi un ricco viaggio nella storia e nelle tradizioni”, sostiene il sito del locale Festival dell’Agricoltura, “che apre una visione ricca di spunti e nuove prospettive per la contemporaneità”. Una contemporaneità che nella Festa della transumanza, in questi giorni, acquisisce “ulteriori contenuti e stimoli” (quali? quanto aderenti alla vera transumanza e ai suoi prodotti?) “e una proposta crescente” rispetto alle precedenti edizioni. Con una sempre più massiccia presenza di persone lungo le strade, ad accogliere prima il rientro della mandria dei fratelli Pagiusco dall’alpeggio, avvenuto venerdì e sabato scorsi, e poi lo strabordante corteo che accompagnerà — domenica prossima, 6 ottobre — il gigantesco formaggio diventato ormai icona di questo happening collettivo, così poco orientato a riproporre la tradizionale transumanza, i suoi valori e i suoi prodotti.

Pensate solo a quell’unico formaggio, che non attrae per una fedeltà esecutiva che non c’è – che non ha minimamente sfiorato chi lo ha ideato e attuato – ma che coinvolge la massa con lo sterile argomento del record (pensate: una tonnellata di peso, ndr) che mette tanta più tristezza quanto tali “misure” nulla hanno a che fare con la natura e le esigenze di una vera transumanza, ma con l’idea dello show business fine a sé stesso.

Uno show business che, oltre a confondere le idee alla gente, semina ignoranza: cos’era la vera transumanza? La gente forse lo sa? Quali erano i formaggi che si producevano? Si fanno ancora adesso? A latte crudo o pastorizzato forse, già che i diecimila litri di latte necessari a produrlo non sono il frutto né di una né di due mungiture? Usando il sieroinnesto o fermenti selezionati, forse?

Uno show business che non educa i consumatori esigenti, curiosi e interessati alla propria consapevolezza, ma che intercetta la massa acritica che si accontenta di uno svago vuoto, di mangiare per mangiare, nell’orgia collettiva dell’indistinto, che non si chiede e non chiede nulla se non di consumare per consumare. Una massa che non sente la sana esigenza di crescere, di capire e di scegliere. E allora, davanti a questo per noi avvilente scenario, facciamola noi una domanda: quella commissione Unesco che sarà chiamata a decidere se accordare o meno il titolo di “patrimonio culturale immateriale”, cosa dovrebbe rispondere se si trovasse di fronte a questa umanità?

30 settembre 2019