Il meme linguistico del momento in campo agroalimentare è senza ombra di smentita quello dell’italian sounding. Sarà dipeso anche dai recenti concorsi caseari, con formaggi ammiccanti a destra e manca, dai tarocchi che non mancano mai nelle principali fiere internazionali, ma anche dalla pretesa delle confederazioni agricole di esprimersi quotidianamente, a volte su tematiche ben logore.
Fateci caso: da qualche tempo – ovunque si guardi – spunta un clone, un similare, un tarocco che porta qualcuno a gridare all’illecito, a richiedere un intervento censorio, amministrativo, giudiziario per porre rimedio al problema.
Ed è così che la produzione di repliche riesce persino a diversificarsi in sottospecie che solo l’altroieri sarebbero state impensabili. Ce lo svelano vicende come quella del produttore di Parmigiano Reggiano che ha iniziato a clonare il prodotto stesso per cui la sua impresa è stata creata, vale a dire – udite udite – che un parmigianista ha preso a taroccare il parmigiano allo stesso modo in cui alcuni caseifici del Grana Padano si sono avventurati, ormai da un po’ di anni, nella produzione di simil-grana. Un fenomeno invero increscioso, contro cui il Consorzio di Tutela di quel formaggio sin dalle prime avvisaglie purtroppo recrimina invano.
L’affondo del Grana Padano al mondo della politica
In questa così composita situazione, giorni addietro, ancora una volta il direttore del consorzio del Grana Padano (il formaggio “Dop” più venduto al mondo”, ndr), Stefano Berni, è tornato sul tema, richiedendo un intervento delle istituzioni: «Chiediamo una ferma presa di posizione del Governo e di tutto il Parlamento a favore delle eccellenze italiane», ha scritto il direttore del consorzio sulle pagine del proprio sito web. «È possibile correre ai ripari», ha incalzato Berni, «con alcune semplici disposizioni normative», che proprio sul portale del Grana Padano vengono puntualmente enumerate. Sono tre, e su di esse la politica – a detta del Berni – potrebbe e dovrebbe agire così:
- Vietando le scimmiottature dei prodotti Dop nel packaging, nei nomi e nelle tipologie di pezzature visto che i “copioni” nascono per confondersi con i Dop;
- Distinguendo nella Gdo i similari dai prodotti Dop, separandoli nettamente e indicando con chiarezza lo scaffale dei Dop e quello dai generici;
- Indicando nei menù della ristorazione gli ingredienti usati nelle cucine, dal momento che nella ristorazione a scontrino medio basso, cioè quella che fa volumi rilevanti, i similari superano i Dop, all’insaputa dei consumatori.
La controffensiva del Parmigiano Reggiano punta al mondo dei consumi
Dopo anni di quiete e non belligeranza, dovuti a mani che lavano altre mani negli intrecci consortili e commerciali (c’è chi fa affari in Italia e nel mondo con entrambi i formaggi) i cugini del Consorzio di Tutela del Parmigiano Reggiano pare abbiano disseppellito l’ascia di guerra, ponendo l’enfasi sulle questioni che maggiormente contano, e in qualche modo (volendo o non volendo?) rispondendo a Berni: il vero discrimine – sembrano dire, attraverso social media e organi di stampa online – per chi produce e per chi consuma non è tanto il fregiarsi di un marchio o meno, bensì l’alimentare l’animale in un modo o nell’altro. Vale a dire usare (o meglio essere indotti ad usare, ndr) un conservante oppure no, questione connessa da un lato a cosa mangia la vacca (se nutrita a insilati il conservante serve ad evitar fermentazioni e rotture in corso di stagionatura, ndr), dall’altro a ciò che il consumatore mangerà.
Prepariamoci adesso a veder ripartire, già dalle prossime ore, una querelle di cui nessuno sentirebbe bisogno. Il guanto della sfida è ormai lanciato, con la nuova campagna pubblicitaria che il Consorzio del Parmigiano Reggiano ha avviato (qui sotto il primo spot) sabato scorso.
Una campagna pubblicitaria, quest’ultima del consorzio reggiano, che per la prima volta dice – per filo e per segno – tutto ciò che c’è da dire. Soprattutto quanto sinora sottaciuto: “Anche per questo”, sostiene il narratore riferendosi alla produzione del Parmigiano Reggiano, “il suo latte ha una flora lattica che permette di produrre il formaggio senza conservanti e senza additivi”.
La sensazione è che il nuovo corso del Parmigiano Reggiano (il presidente Bertinelli, i collaboratori di cui si è circondato e una base che finalmente sa farsi sentire) abbia deciso di dare la sveglia ai consumatori. Qualcuno oserà dire forse che le cose non stanno come la pubblicità dice?
4 novembre 2019