Nasce il “caso friulano”: quello di una regione del nord in cui vince la mozzarella

Le eccellenti scuete fumade, ricotte affumicate del Friuli, che purtroppo in regione cedono il passo al dilagare delle poco tipiche mozzarelle – foto Ersa©

Di questo passo non è escluso che lo chiameremo “il caso friulano”, tanto è paradossale la situazione del mercato lattiero-caseario di quella regione, visto che i suoi abitanti, di fronte ad una proposta amplissima fatta di molti e interessanti Pat (Prodotti Agroalimentari Tradizionali; a proposito: bello e utile l’opuscolo dell’Ersa a loro dedicato, ndr) e di un’infinità di buone produzioni artigianali, finisce per preferire ciò che di più atipico il mercato offra: la mozzarella.

Che sia di bufala o vacca poco sembra importare: il consumatore friulano, storicamente avvezzo ad una varietà di formaggi e latticini spesso freschi (ma non solo) negli anni ha virato drammaticamente verso il fresco a pasta filata più diffuso che c’è, spesso nella sua versione più globalizzata e per questo meno interessante: quello che si trova nei banchi della Gdo (moltissime latterie e caseifici friulani hanno una loro mozzarella, in genere vaccina, fatta a volte con latte locale, altre volte con latti d’importazione).

Una situazione davvero inusuale, infatti, è quella che esce dallo studio sollecitato dall’assessore alle Risorse agroalimentari, forestali e ittiche e alla Montagna Stefano Zannier. Studio realizzato e pubblicato mercoledì scorso 6 novembre da Cluster Agrifood Fvg, corredato di una vera e propria classifica del latte lavorato in regione:

1° Mozzarella 32%
2° Stracchino 28%
3° Latteria 17%
4° Montasio Dop 16%
5° Latte confezionato 5%
6° Yogurt ≤1%
7° Caciotta ≤1%

“Per latte lavorato” – spiega il sito web di Agrifood – “si intende sia quello munto in regione (pari a circa 9.500 quintali al giorno) sia quello importato da altre regioni oppure dall’estero. Bisogna, comunque, tenere in considerazione che per la Dop Montasio la materia prima deve provenire dall’areale geografico previsto dal disciplinare, ovvero dal Friuli Venezia Giulia e dal Veneto orientale”

«L’intenso lavoro di analisi, ascolto e proposta portato avanti in questi mesi», commenta Claudio Filipuzzi, presidente dell’agenzia di Cluster Agrifood Fvg, «sta dando il quadro preciso su cui, con strategie strutturali condivise, è necessario intervenire. Uno degli obiettivi individuati, per esempio, è la creazione di almeno una Organizzazione di Produttori (Op) regionali riconosciuta dalla normativa europea per pianificare la produzione, adeguandola alla domanda. È qualcosa che va ben oltre una Ati (Associazione Temporanea di Imprese) o a una rete d’imprese».

Il lavoro dell’agenzia di cluster sta esaminando anche delle best practice fuori regione, per raccogliere e proporre cosa e come sia trasferibile in Friuli Venezia Giulia. Recenti sono i contatti con l’Alto Adige e il Trentino, dove la remunerazione dei prodotti finali passa attraverso la valorizzazione della materia prima locale con cui sono realizzati. Ciò, unito a un’adeguata organizzazione locale condivisa, è poi in grado di rendere sostenibili le attività anche in zona montana.

L’esempio altoatesino è, seocndo Filipuzzi «un obbiettivo che anche la nostra regione si può ragionevolmente dare. Bisognerà vedere fin dove i nostri attori territoriali sono disposti a fare un passo indietro, lasciando spazio a iniziative condivise dal basso indispensabili oggi a difendere la sostenibilità di tutte le imprese rimaste».

11 novembre 2019