Avvisi di garanzia a centinaia di pastori sardi: lo Stato teme la rivolta sociale?

Lo sappiamo tutti, visto che nel marzo scorso i media dettero grande rilievo alla protesta dei pastori sardi: mentre fiumi di latte venivano versati nelle strade come atto estremo di un dramma che colpisce tutta la regione – perché tale era e tale resta la crisi del latte in Sardegna – furono pochi, pochissimi e isolati gli atti deprecabili di violenza, circoscrivibili – lo raccontano le cronache – a quattro, forse cinque agguati ad altrettante autocisterne, che vennero date alle fiamme, da persone non riconoscibili perché a volto coperto.

Per il resto, la cronaca riferì di ripetute e pacifiche manifestazioni di padri di famiglia – e a volto scoperto, non avendo alcuna intenzione di sovvertire l’ordine pubblico – che in varie località dell’isola per settimane gridarono al mondo intero il loro “no” all’iniqua redistribuzione del profitto (tutto alle industrie e ai commercianti, e a loro la miseria) rivendicando un prezzo equo per il loro prodotto e chiedendo alla politica d’intervenire per risolvere una vera e propria emergenza sociale.

Tornando ai pochi, pochissimi casi di automezzi incendiati, la risposta arrivò con il dissenso di sindaci e popolazione che a Tramatza (il 13 marzo) e a Macomer (il 14 marzo) scesero nelle strade per condannare quegli assalti, dopodiché a maggio le indagini delle forze dell’ordine portarono alla denuncia di alcuni dei presunti responsabili ma – a quanto ci risulti al momento – a nessun provvedimento restrittivo o giudiziario.

Passata la pausa estiva e sino alle scorse settimane, alcuni timidi tentativi di ottenere un corrispettivo di “almeno un euro al litro” (rivendicazione figlia del populismo Coldiretti, che evidentemente non si misura troppo né con l’industria né con la politica, ndr) hanno preso a riaffacciarsi nelle cronache autunnali, trovando dapprima tiepide reazioni dell’amministrazione pubblica regionale, e poi due visite e un risoluto “no” – reso pubblico lunedì 11 scorso – dalla ministra Bellanova.

Ancora una settimana o poco più da quella porta chiusa in faccia, e mentre ci si chiedeva come e quando i pastori sarebbero tornati ad agire per far sentire le proprie sacrosante ragioni agli interessati (non solo alla politica, forse chissà ai primi responsabili di questa situazione, ndr), ecco che un provvedimento giudiziario (un avviso di garanzia) “a pioggia” raggiunge centinaia e centinaia di pastori. Giovedì scorso la conta dei soggetti coinvolti era giunta a 500, ma già si parla di una cifra che nelle ultime ore è ulteriormente cresciuta, sfondando forse quota mille.

Mille indagati per cosa? Per tutti i reati possibili e immaginabili – non necessariamente quelli che possono essere stati commessi nelle manifestazioni di protesta – già che le indagini avrebbero riguardato sì i familiari dei pastori scesi nelle piazze ma anche quelli di chi era rimasto nell’ovile. Indagini svolte sul territorio, ma persino – a quanto si vocifera – nei social network, a caccia della parola di troppo, dell’alzata di testa verbale, della minaccia dei leoni della tastiera che in situazioni come questa non mancano mai.

Stiano come stiano le cose, l’azione in atto sembra essere la doccia fredda a cui tutti sottoporremmo l’esagitato, lo scalmanato, l’irragionevole che abbia perso le staffe. Ammesso e non concesso che questo fosse il quadro della situazione, a cosa servirebbe una tale iniziativa se non a ritardare o spostare la scintilla a cui nessuno crediamo vorrebbe che si arrivasse? A nulla.

In attesa degli sviluppi di una situazione che si sarebbe potuta gestire con maggiore equità, staremo a vedere dove la strategia in atto condurrà e cosa porterà con sé. Nel frattempo ci si interroga su cosa e chi abbia abbia condotto l’Oilos (l’organizzazione interprofessionale che da oltre un anno avrebbe dovuto dare peso alle posizioni dei pastori) fuori dalla scena delle trattative, esautorandola dei fondamenti stessi su cui era stata fatta nascere.

Lo scenario attualmente visibile ci porta ad osservare le azioni di autodifesa legale che gli interessati si stanno dando nelle chat e sui social media, come ben riferiva giovedì scorso l’agenzia stampa Ansa. C’è da augurarsi che su un altro piano – assai meno o per nulla ispezionabile – nessuno stia agendo per attuare azioni clamorose che, in situazioni di disperazione andrebbero sempre tenute di conto come possibili.

25 novembre 2019