Se si esclude il periodo pasquale, il consumo di carni ovicaprine in Italia ha molti margini di crescita, ma al tempo stesso ha bisogno di essere incentivato, a partire dall’educazione stessa del consumatore. Pensare che in pochi accettino l’idea di mangiare carne di pecora e assistere poi al successo che gli arrosticini hanno nel quotidiano (difficile non vederne nei banchi dei supermercati e nelle sagre di paese, quando se ne tenevano, ndr) fa capire quanto ancora ci sia da fare per aiutare sia il settore che il consumatore stesso.
A pensare di fare qualcosa concretamente per gli allevatori di ovini ci sta pensando la Cia abruzzese, che attraverso il proprio presidente Mauro Di Zio ha lanciato nei giorni scorsi la proposta di richiedere la tutela del marchio Igp proprio per gli arrosticini abruzzesi.
«La pastorizia», sostiene Di Zio, «con la sua esperienza fatta di valori, identità, sostenibilità può ancora oggi rappresentare una opportunità per aree interne. Ogni anno si producono decine di milioni di arrosticini e il marchio Igp potrebbe rappresentare un’ottima opportunità per il settore, poiché tutela e valorizza i processi tradizionali di lavorazione». [continua dopo la pubblicità]
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«La certificazione richiesta», conclude il presidente dell’associazione abruzzese, «dovrà rappresentare un valore aggiunto per gli allevatori del territorio, che potranno essere chiamati ad incrementare la consistenza e modificare l’indirizzo produttivo. Oltretutto la recente crisi dei consumi ha portato molti di loro ad allevare le agnelle invendute come future fattrici».
Il marchio Igp, grazie a un disciplinare rigoroso (che dovrebbe “blindare” la produzione, legandola alle razze locali e al territorio, ndr) e ai controlli a cui tutta la filiera dovrebbe sottostare, garantirebbe tutti gli attori della filiera – dagli allevatori ai consumatori – sulla provenienza delle carni, un aspetto che attualmente lascia molte perplessità in chi si trovi ad esercitare la sempre poco utilizzata facoltà del dubbio.
27 aprile 2020
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