Processo Ilva, Slai Cobas all’attacco: “Il Prof. Pompa è un servo del padrone”

L’Ilva di Taranto, responsabile dell’inquinamento che portò all’abbattimento di migliaia di pecore e capre, dal 2012 – foto di mafe de baggis© – Creative Commons License

Le perizie di parte stanno cercando di cancellare la storia, in una delle terre più inquinate dalle emissioni industriali che il nostro Paese conosca: quella di Taranto. Dopo l’atteggiamento ostruzionistico delle difese registrato nelle udienze della scorsa estate, le ultime tre sedute del processo “Ambiente Svenduto” sono state incentrate su una perizia a dir poco censurabile – quella del Prof. Giuseppe Pompa, già ordinario di tossicologia veterinaria all’Università degli Studi di Milano – che tenta di scaricare le responsabilità assolutamente palesi dell’Ilva.

I fatti riguardano un territorio martoriato da oltre 50 anni di una presenza – quella dell’impianto siderurgico della famiglia Riva – che non ha mai assolto agli obblighi di tutela ambientale, portando sì lavoro ma anche malattie e morti, e una qualità della vita tra le più basse d’Italia, proprio per via dell’inquinamento: dell’aria, dei terreni, dell’erba, delle acque.

Migliaia di pecore delle famiglie Fornaro, Quaranta e Sperti furono abbattute nel 2012 dopo anni di vessazioni, per via della contaminazione da inquinanti e una comunità di allevatori e pescatori fu messa in ginocchio da diossina, Pcb, Ipa, metalli pesanti. A scendere al loro fianco oggi ci sono lee sigle sindacali Slai (Sindacato lavoratori autorganizzati intercategoriale) e Cobas (Comitati di Base), che in un comunicato di venerdì scorso, 20 novembre, denunciano una situazione di grave manipolazione della verità e di attacco ai diritti ambientali e sociali.

Riferendosi alla perizia dell’esperto nominato dalla famiglia Riva, il sito web di Slai Cobas Taranto non usa mezzi termini, parlando di “testi che si susseguono nelle udienze che si dovrebbero chiamare piuttosto che “periti” servi del padrone”.

“Le ultime falsità a cielo aperto”, prosegue il sindacato, “sono state dette da tale Giuseppe Pompa, già ordinario di tossicologia veterinaria dell’Università degli Studi di Milano”, e sono (le elenca il sito):
– le sostanze nocive, il pcb sarebbe stato prodotto non dall’Ilva ma da un sito industriale dismesso, l’ex Matra in territorio di Statte;
– per le impronte delle diossine nel latte di capra “non esiste alcuna diretta correlazione tra l’impronta della fonte di diossine (fieno contaminato) e impronta del latte prodotto dagli animali”;
– i pcb contenuti nelle polveri degli elettrofiltri del reparto agglomerazione non sono responsabili della contaminazione dei terreni e del latte degli allevamenti, in quanto vi sarebbe una “incompatibilità fra il profilo delle polveri Esp/meep e quelli dei terreni e del latte degli allevamenti”;
– le perizie dell’accusa si basavano sul presupposto sbagliato che le emissioni dell’Ilva fossero l’unica fonte di diossina e pcb di tutto il territorio in tutto il territorio;
– anche per le sostanze nocive nei mitili la fonte non sarebbe l’Ilva “poiché lo sversamento è attribuibile ad altre realtà (in particolare Arsenale) e, inoltre, gli scarichi dell’Ilva finirebbero in Mar grande e non in Mar piccolo.

Da tutto ciò, questo personaggio ha escluso “su basi scientifiche e razionali la responsabilità di Ilva nella contaminazione”, e ha concluso che l’Ilva non sarebbe colpevole di “disastro ambientale””.

Il grido d’allarme del sindacato
“Ci vorrebbe ben altro”, dichiara il Slai Cobas Sc di Taranto sul proprio sito web, “in questo processo per attaccare questi servi e i loro avvocati ben pagati dai Riva; ci vorrebbero gli operai, i tanti lavoratori, donne, bambini ammalati. Ma purtroppo non ci sono.

Lo Slai Cobas si batterà perché almeno nella prossima fase di discussione in cui parleranno gli avvocati delle parti civili da noi presentate, queste presenze ci siano”.

23 novembre 2020