Ancora una volta, purtroppo, l’inquinamento in Lombardia ha toccato livelli record, nelle scorse giornate, in particolare nelle provincie di Cremona e Lodi. Mentre l’Italia è distratta dalle polemiche del governatore Fontana, che sino a ieri rivendicava il passaggio da zona rossa a zona arancione e ingenti risarcimenti danni dal Governo centrale, la regione viveva, e vive, purtroppo, un silenzioso e mortifero collasso ecologico.
Lo smog sale, non solo nelle città, ma anche e soprattutto nelle campagne, con il superamento dei limiti che nella zona di Codogno è stato registrato 13 giorni su 24, dall’inizio dell’anno. Nel capoluogo, i livelli medi di PM10 misurati dalle centraline hanno raggiunto i 37 μg/m3 e cinque sono stati i giorni di superamento dei limiti: a metà settimana l’aria è tornata a farsi irrespirabile, e solo ieri, domenica 24, si è registrato il tanto atteso miglioramento, annunciato dalle previsioni meteo dei giorni scorsi.
Ma se in città, con il traffico automobilistico ridotto a causa del lockdown, i principali responsabili sono i riscaldamenti domestici e degli uffici, nelle campagne le responsabilità vanno additate alla zootecnia intensiva, da carne e da latte. Non a caso nelle due province più inquinate – Cremona e Lodi – si concentrano le grandi stalle affollate di vacche e maiali, le cui deiezioni rappresentano, si sa, una vera bomba ecologica, non più sostenibile.
I dati sono altamente allarmanti. Basti pensare che nei giorni scorsi le centraline di Cremona, hanno superato quelle milanesi di 8 punti per i PM10 – 45 μg/m3 – mentre a Codogno è stato toccato il record di 54 μg/m3.
Ad essere chiamati in causa sono gli allevamenti intensivi, dicevamo, e il loro spandimento di liquami, che procede incessante. Più del 60% delle polveri sottili presenti nell’aria sono composte da microcristalli dei sali d’ammonio, che si formano in atmosfera a partire da un inquinante gassoso prodotto dalle stalle – l’ammoniaca – che si combina con gli ossidi d’azoto e le loro miscele – i NOx – provenienti dal traffico.
«Se si pensa che la “bassa lombarda” concentra il 51% di tutti i suini e quasi il 25% dei bovini allevati nel territorio nazionale», spiega Damiano Di Simine, coordinatore scientifico di Legambiente Lombardia, «è palese il perché in inverno càpiti spesso che i parametri di inquinamento siano peggiori nei centri agricoli che nella metropoli lombarda. La riduzione delle emissioni di camini e tubi di scarico», prosegue, «fa emergere sempre più l’allevamento intensivo come concausa di inquinamento atmosferico invernale in Pianura Padana».
Paradossalmente, la Regione Lombardia con un proprio provvedimento, anziché imporre prescrizioni più stringenti sul controllo delle emissioni da allevamento, ha ridotto il periodo di divieto invernale di spandimento liquami zootecnici, che un decreto ministeriale fissa per i mesi di dicembre e gennaio. È accaduto così che da lunedì 18 scorso in Lombardia, diversamente dalle altre regioni del Nord, gli allevatori hanno potuto svuotare nei campi le cisterne di liquami.
La gravità della situazione ha indotto Legambiente a prendere posizione, scrivendo all’assessore regionale all’agricoltura, Fabio Rolfi, e al capo dipartimento delle politiche europee di sviluppo Rurale, Giuseppe Blasi.
«La Regione», ha dichiarato Barbara Meggetto, presidente di Legambiente Lombardia, «deve affrontare con maggiore coerenza la lotta a smog e inquinamenti. Consentire di spandere liquami in pieno inverno equivale a vanificare le misure antismog adottate nelle città. Per questo abbiamo richiesto l’immediata revoca del provvedimento regionale e l’adeguamento della Lombardia alla norma con cui l’Italia ha recepito la direttiva nitrati».
«Ricordiamo», ha proseguito Meggetto, «che a dicembre la Commissione Europea ha di nuovo messo in mora l’Italia per mancato rispetto della direttiva anti-inquinamento, quindi rischiamo di dover pagare pesanti sanzioni, oltre a subire un ingiustificabile danno ambientale».
25 gennaio 2021