Di fronte ad un mercato che paga sempre meno il latte vaccino (prezzo medio Lombardia nel 2020: 37,13€/100 lt.; -3,51€ rispetto al 2019), la risposta del mondo produttivo in questi ultimi anni è stata – ed è – quella di aumentare le produzioni, nonostante il numero delle stalle stia diminuendo, ormai da tempo. Un fenomeno apparentemente insensato, o quantomeno ardito, dato il momento di grande incertezza generale, e una richiesta di mercato che registra più spesso segni “meno” che segni “più”, e che appare nel complesso quantomeno altalenante.
Si esporterà il prodotto, non l’inquinamento
Con una produzione di 12,5 milioni di tonnellate nel 2020, e una crescita del 13% negli ultimi sei anni, il sistema latte italiano guarda all’export, e pare aver trovato nel segmento del prodotto in polvere un nuovo terreno in cui operare nei prossimi anni. Un terreno per nulla facile – si badi bene – caratterizzato com’è da un’elevata competitività e da un certo affollamento, in cui già diversi player internazionali si stanno cimentando da anni. E dove i clienti di domani – cinesi in primis – già dopodomani si organizzeranno per produrre in proprio.
Alle voci che in questo senso si rincorrevano da tempo – fuorviate nel corso della settimana passata dai report sull’inquinamento delle mega-stalle da latte del cremonese – ha fatto seguito, giovedì scorso, 28 gennaio, l’ufficializzazione della notizia, giunta per iniziativa dell’Alleanza Cooperative Agroalimentari, sotto la cui firma si riuniscono le due cooperative Latteria Soresina e Plac-Fattorie Cremona, oltre ad Aop Latte Italia, Consorzio Latterie Virgilio, Parmareggio, al Consorzio per la tutela del Grana Padano e ad altri.
Il progetto del pool prevede la creazione – entro il 2022 – di un grande impianto industriale di essiccazione, in cui verrà processato il latte in eccesso delle stalle italiane. Il prodotto che ne deriverà sarà destinato – a quanto pare – all’alimentazione della prima infanzia (per il mercato cinese, che ha già trovato validi fornitori in Francia, e pretende una qualità forse diversa da quella del latte italiano), alle industrie dei cosmetici e alimentare.
All’assalto del Recovery Fund (dicendo di averne i titoli)
Le realtà coinvolte prevedono di concludere lo studio di fattibilità entro il prossimo giugno, per far sì che prima della fine dell’anno in corso siano raccolte tutte le adesioni e vengano definiti la forma societaria e il luogo in cui sorgerà il nuovo sito produttivo, verosimilmente – si dice – tra Cremona e Mantova.
Subito dopo saranno avviate la costituzione del soggetto produttivo e la costruzione dello stabilimento, la cui entrata in funzione sarebbe prevista per la fine del 2022. Tra le altre voci trapelate nelle ultime ore, ne circola una davvero curiosa: secondo alcune fonti vicine al mondo delle cooperative, i fautori di questa operazione punterebbero ad ottenere i finanziamenti previsti dal Recovery Fund, i cui meccanismi prevedono una corsia preferenziale per progetti legati alla sostenibilità ambientale e all’innovazione tecnologica. Detta fuori dai denti, non ci vediamo né l’una (è una zootecnia ad alto impatto ambientale, che si alimenta di monocoltura di mais e trasforma le vacche in “macchine da latte”) né l’altra (le torri di essiccazione esistono da diversi anni, oramai), ma come si sa, nel nostro Paese, chi rimesta nella politica riesce a far quadrare anche i cerchi mal fatti.
1° febbraio 2021