Fanghi di depurazione: oltre l’illecito una seria problematica per la zootecnia intensiva

Ha destato un forte scalpore, all’inizio della scorsa settimana, la notizia dello spandimento illecito di fanghi e gessi contaminati su un’infinità di terreni agricoli, nel Nord Italia. La vicenda, emersa lunedì 24 scorso dalle pagine di molti quotidiani lombardi, riguarda la società bresciana Wte, a cui i Carabinieri del Nucleo Forestale di quella città hanno sequestrato i tre stabilimenti presenti nei comuni di Calcinato, Calvisano e Quinzano d’Oglio.

I primi risultati delle indagini riferivano di 150mila tonnellate di fanghi contaminati da idrocarburi, metalli pesanti ed altre sostanze inquinanti – spacciate per fertilizzanti –  smaltite su 3mila ettari di terreni agricoli in Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna.

La società ritirava i fanghi da impianti di depurazione delle acque reflue urbane ed industriali e anziché trattarli (attraverso un procedimento che ufficialmente ne garantisce l’igienizzazione e la trasformazione in sostanze ritenute fertilizzanti) li scaricava tali e quali, compromettendo l’ambiente, il raccolto e i destinatari dei prodotti agricoli lì coltivati.

Ma non solo: per massimizzare il proprio lucro, i responsabili della Wte aggiungevano ulteriori inquinanti come l’acido solforico, prima di operare gli spandimenti.

In sostanza poi i rifiuti venivano classificati come ”gessi di defecazione” e smaltiti in terreni coltivati principalmente ad uso zootecnico (quindi destinati alla produzione di generi alimentari), attraverso sei aziende operanti nelle lavorazioni di terreni conto terzi, anche esse coinvolte nell’illecito. Attraverso queste i pericolosi inquinanti hanno raggiunto molte province, oltre quella di Brescia, vale a dire Como, Cremona, Lodi, Mantova, Milano, Pavia e Varese in Lombardia e Novara, Piacenza, Vercelli e Verona, fuori regione.

Difficile – per non dire impossibile – quantificare il danno causato ai terreni, alle falde acquifere e più in generale all’ambiente, come anche alle aziende agricole proprietarie di quei campi, per non parlare dei problemi per chi ha mangiato e mangerà i prodotti derivati da quelle coltivazioni: di mais destinato ad allevamenti intensivi di maiali e vacche (non a bambini come è stato detto e scritto), di grano e verosimilmente di riso.

Un illecito da 12 milioni di euro
Più facile invece fare i conti in tasca ai quindici criminali che hanno operato questo grave illecito: per ora gli inquirenti hanno calcolato in almeno 12 i milioni di euro intascati dalla banda in un solo anno e mezzo (dal gennaio 2018 all’agosto 2019) e hanno provveduto al sequestro di 36 conti correnti ed altri effetti bancari, 79 immobili, oltre a mezzi agricoli ed autovetture.

Nei terreni sono finite quantità ingenti di inquinanti, tra cui idrocarburi, cianuri, cloruri, arsenico, selenio, solfati, zinco e stagno. Una miscela venefica che aveva portato a molte segnalazioni e denunce da parte di abitanti e comitati civici (le prime registrate già nel 2011), e a qualche recriminazione, giunta all’azienda da alcuni agricoltori.

I reati contestati dagli inquirenti
Al traffico di rifiuti si sono quindi aggiunte altre accuse: dal reato di discarica abusiva (relativo a terreni affittati a Lonato) alle molestie olfattive, per le denunciato dalle centinaia di esposti e segnalazioni presentati nel tempo (pare fin dal 2011) da comitati e cittadini. In ultimo, ma non per importanza, emerge la posizione del direttore dell’Aipo (Agenzia interregionale per il fiume Po), a cui viene contestato il reato di traffico di influenze illecite, in quanto “sfruttando le proprie relazioni con politici e funzionari apicali della pubblica amministrazione”, spiegano gli inquirenti, “si prodigava per favorire la condotta criminale dell’azienda bresciana, ottenendo in cambio incarichi di consulenza e altre regalie da parte del titolare di quest’ultima”.

Una pista quest’ultima che porta a nomi eccellenti dell’amministrazione pubblica, non coinvolti nell’indagine se non a livello testimoniale.

Fanghi di depurazione: un’insidia anche se trattati regolarmente
Nel dubbio che permane – e verosimilmente permarrà – sui provvedimenti a cui verranno sottoposti quei terreni e quelle falde, ci pregiamo di fornire ai nostri lettori un’interessante fonte di conoscenza sulle insidie che i fanghi di depurazione arrecano all’ecosistema, persino quando sono trattati secondo le procedure di legge.

Lo spargimento dei fanghi di depurazione in ambito agricolo causa erosione, contaminazione, diminuzione della sostanza organica e impermeabilizzazione dei terreni. A rivelarlo è l’articolo “La problematica dei fanghi di depurazione in agricoltura”, pubblicato meno di un anno fa sul sito web dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano.

Leggendolo si apprende che “soprattutto in territori pianeggianti (il nostro pensiero va alla Pianura Padana, con le sue grandi stalle e le sue sterminate monocolture di mais, ndr) il rischio di contaminazioni legato ad un uso eccessivo in agricoltura di sostanze chimiche sintetiche (come per esempio i fertilizzanti) e allo smaltimento dei fanghi di depurazione e delle loro acque reflue (contaminazione da fonti diffuse) è più alto. Per questo motivo spesso si verificano fenomeni di tossicità e inquinamento rilevanti per la catena alimentare e per la qualità delle acque superficiali e sotterranee”.

Inoltre, si evince che “l’utilizzo dei fanghi di depurazione come fertilizzanti presenta delle serie criticità, riconducibili alla possibile presenza di composti organici nocivi. Si tratta in particolare di: inquinanti Organici Persistenti (POPs), interferenti endocrini, sostanze farmaceutiche, droghe d’abuso e metalli pesanti”.

Un articolo davvero interessante, di cui suggeriamo la lettura, per capire in maniera più ampia quale sia la “normalità” in cui si muovano, da decenni, l’agricoltura e la zootecnia intensive.

31 maggio 2021