Tanto tuonò che piovve – come recita il proverbio – ma la peggior cosa, per chi il problema lo aveva annunciato, è stato non trovare né un ombrello né una mantella e meno che mai un riparo sicuro per proteggersi dall’acquazzone.
Stiamo alludendo ad una delle questioni che da alcuni anni attanaglia il mondo produttivo del Grana Padano, forse la maggiore di esse, vale a dire la crescente diffusione dei formaggi cosiddetti “similari”, altrimenti denominati “Grana bianco”, in quanto oltre ad essere pallidi per via dell’alimentazione animale (unifeed e insilati di mais) solo talvolta riportano sullo scalzo una punzonatura distintiva.
Alcuni giorni fa, l’ormai annoso fenomeno – da noi trattato, per quanto in altri termini, nel febbraio 2018 e nell’ottobre 2020 – ha destato l’interesse di due giornali online: il più noto Libero Quotidiano e l’outsider Proiezioni di Borsa, un sito web che sembra raccogliere e “ricucinare” un’infinità di contenuti terzi (non sempre interessanti come questo) pur di incrementare il proprio traffico web (per introitare denaro dagli inserzionisti pubblicitari).
Degno di nota è il primo dei due (verosimilmente la “fonte d’ispirazione” del secondo) ed è su di esso che ci vogliamo soffermare. Prodotto dall’apprezzabile penna di Attilio Barbieri, che fa della capacità investigativa e critica la sua cifra autoriale, l’articolo – intitolato “Grana Padano? Non proprio, banconi invasi dal prodotto tarocco: ecco come riconoscere l’originale”, ci accompagna tra i banchi dei supermercati per capire da vicino il suddetto fenomeno, lasciandoci intendere che – al di là dei proclami ufficiali del consorzio di tutela della Dop – esso sta vieppiù prendendo piede, quantomeno nel Nord Italia (e – aggiungiamo noi – forse anche qua e là nel Centro-Sud).
Nel suo articolo Barbieri riferisce quali similari ha acquistato, in quali località e sotto quali insegne della Gdo, indicando i prezzi, oscillanti tra i 7,99€ e i 7,49€ al chilogrammo (mentre i Grana Dop viaggiano tra gli 11,16€ e i 9€ e, quando in offerta, raggiungono gli 8€). E ci spiega come tutti e tre i formaggi da lui acquistati – provenienti dalle province di Mantova, Piacenza e Verona – abbiano in bell’evidenza la dicitura “100% latte italiano”.
Il collaboratore di Libero Quotidiano sottolinea poi i vari aspetti (la forma, le dimensioni, i posizionamenti nei punti vendita) che potrebbero indurre i consumatori in errore, vale a dire a ritenere che gli uni prodotti siano, se non proprio uguali, simili all’”altro”, vale a dire al Grana Padano.
In ultimo, ma non per importanza, la questione delle questioni, per tutti i produttori e i consorzi di prodotti a denominazione di origine protetta: appena il 7% degli italiani confessa di sapere esattamente cosa siano, di conoscerne i valori e i caratteri distintivi. Vale a dire che, rovesciando la prospettiva, il rimanente 93% non avrà problemi a preferire un generico rispetto ad un Dop, ovvero un “doppione” all’”originale”, magari salvando qualche cent.
Ma forse è proprio qui che vale la pena soffermarci su un ultimo elemento di riflessione, che ci pregiamo di proporre per completare la trattazione dell’argomento in una dimensione più ampia. Siamo sicuri che, riavvolgendo il film, la storia non sia già avvenuta, per quanto con altre connotazioni, a partire dagli ultimi anni ‘90? Siamo certi che la vicinanza nei banconi tra Grana Padano e Parmigiano Reggiano non abbia mai generato confusione e nociuto a quest’ultimo? Che quei pochi euro in meno per molti consumatori non abbiano spostato – e non spostino tutt’ora – la manina verso il prodotto “similare” e più economico?
E allora, fermo restando che i similgrana sono tanto più simili al vero Grana (in quanto spesso prodotti da chi fa anche il Dop, ovvero prodotti con impianti ed esperienze e latti assolutamente uguali) di quanto il Grana possa essere ritenuto simile al Parmigiano, anziché continuare a lagnarsi, i diretti interessati (i produttori di Grana e ancor più i membri del consorzio) riusciranno un giorno a capire che non è stata la concorrenza sleale a colpirli, bensì il più classico dei contrappassi? Chissà, forse sì, ma senza dichiararlo mai. In un Paese in cui le lamentazioni molto spesso sono usate come presupposto per agire, chiedere, ottenere e – in sostanza – vivere, c’è da aspettarsi che ciò non accadrà mai sotto ai riflettori.
14 giugno 2021