Cremona inquinata dalla zootecnica intensiva si batte contro lo scippo della “sua” mostra

foto Cremona Fiere SpA©

Qualcuno, e non solo i giornali, l’ha chiamata la “battaglia della transumanza”: nulla di più indecente – oltre che fuorviante – visto che stiamo parlando di vacche condannate in stalla a vita, per produrre contronatura 40 e anche 50 litri di latte al giorno. Vacche che un pascolo non lo vedranno mai, e che l’unica uscita che faranno – in genere prima del quinto anno di età – le condurrà al mattatoio, quando il loro livello produttivo e il loro stato di salute non saranno – a giudizio del sistema che le governa – più “performanti”.

Altri hanno avuto l’ardire di definire quei poveri animali “mammelle d’oro” (una vera eresia, già che il latte che ne sgorga, pagato ormai meno dell’acqua, non riesce più a coprire le spese degli allevatori), aggiungendo che attorno ad una manifestazione a loro dedicata – la Mostra Nazionale del Bovino da latte Frisona e Jersey italiana – è nata una disputa tra due centri espositivi – di Cremona e Montichiari – e gli organizzatori della suddetta manifestazione, rei di aver deciso di traslocare l’evento dalla sede storica nel capoluogo lombardo alla struttura della bassa bresciana.

Le cronache dei giorni scorsi lasciano trapelare da parte degli interessati un grande accanimento su questa vicenda, toni alti, oseremmo dire esasperati, e minacce di azioni legali. Evidentemente ancora qualcuno lucra e alla grande (mentre gli allevatori, ben che vada, sopravvivono) in un settore che ancor più che in crisi appare ormai prossimo alla canna del gas.

Lungi da noi entrare nel vivo di una contesa che si spera sfumi con il tramonto della stesso zootecnia intensiva, che auspichiamo sia prossimo (il progressivo calo delle vendite del latte lo lascia pensare) la riflessione che vi porgiamo è su altre evidenze che l’attualità di questi giorni ci offre, e che riguardano le due province coinvolte: Cremona è seconda nella triste classifica delle città più inquinate d’Europa. E Brescia che la segue, a poche posizioni di distanza.

Nella città della mostarda si registrano ormai una delle più alte concentrazioni di pm 2,5 e un livello medio di particolato ultrasottile che nel biennio 2019-20 ha superato regolarmente il limite di guardia di 25 μg/m3 stabilito dall’Oms.

Inoltre, nel suo territorio provinciale vengono emesse polveri ultrafini per 781 tonnellate annue, il 51% delle quali deriva dalla combustione di biomasse. Ma non solo, perché molto più serie risultano essere le emissioni di sostanze che funzionano da precursori delle stesse polveri: prima tra tutte l’ammoniaca, con 18.241 tonnellate annue, guarda caso generate per il 99% da fonti agrozootecniche.

In tutto questo, qualcuno da qualche parte (Ministero della transizione ecologica, Ministero delle politiche agricole, Ministero della Salute e loro enti preposti) deve decidere cosa fare: in un mondo in cui ogni attività produttiva dimostra di essere attenta a ridurre nei prossimi anni la propria impronta di carbonio, con l’obiettivo di azzerare le emissioni nel 2050, questi signori sembrano lontani anni luce dalle responsabilità proprie e del sistema di cui fanno parte. Troppo intenti a pensare ai propri sporchi (è proprio il caso di dirlo) interessi per occuparsi di ciò che sono chiamati a fare ora e subito: ripensare e rimediare ai danni che hanno causato alle generazioni presenti e future.

Qualcuno vada a svegliarli, e gli dica che più che il cambiamento della sede di una mostra quel che conta è il cambiamento dei loro metodi produttivi e di allevamento, su cui un serio intervento appare oramai inderogabile.

21 giugno 2021