Complice una certa tv – sempre assetata di scoop, clamori e scenari truci da dare in pasto all’opinione pubblica – l’animalismo estremista si è fatto strada negli anni tra l’opinione pubblica italica, sostenuto dalle sensibilità di molti (di fronte alla sofferenza animale e all’idea di consumare cibo che da quella nasce) e per quanto fiaccato dall’indifferenza di non pochi (chi continua a scegliere il cibo in base al prezzo), ha incontrato e si è esaltato nel consenso militante delle frange “animalare”, sempre più riottose e vocianti.
Ma attenzione: in questo fenomeno c’è da considerare qualche dettaglio tutt’altro che marginale. Perché pensando alle azioni “militonte” di certi estremismi, un conto è entrare in una proprietà privata con il consenso di chi la conduce e un altro conto è irrompervi come farebbe un ladro: non per rubare beni di valore, certo, ma per appropriarsi di immagini.
Le schegge impazzite dell’animalismo sono coscienti di questo e – se interrogate – a domanda rispondono, senza batter ciglio, che la finalità sottesa dalle loro azioni giustifica ampiamente i rischi di essere aggrediti, denunciati, condannati.
E poi c’è un corollario di questioni secondarie, ma neanche troppo, che va dalle competenze zootecniche (in genere assai scarse, se non nulle) dei personaggi che irrompono nelle stalle, alle luci usate nelle riprese (faretti spot, che generano ombre nette), che rendono la scena oltremodo drammatica, dalla manipolazioni di molti documenti (attraverso i montaggi video) alla scelta di testimoniare il “peggio nel peggio”, sempre operata preventivamente dagli incursori e dai loro mandanti (che trascura chi opera al meglio e chi “nella media”, rispettando le regole).
Chi tra voi ci segue da più tempo e con maggior attenzione sa bene quanto ci interessi la questione del vero benessere animale, che quasi mai ha a che fare con lo pseudo-benessere indicato sulle confezioni di cibo industriale. Per cui siamo e ci confermiamo critici nei confronti della zootecnia intensiva (sempre a ragion veduta e in maniera documentata) ma al contempo non condividiamo alcunché del fare dell’estremismo animalista.
La cronaca di questi giorni
Fatte queste doverose premesse, ecco che la cronaca ci propone (la notizia è dell’inizio della scorsa settimana) le misure prese dal Tribunale di Brescia nei confronti di “Essere Animali”, a seguito di una causa civile intentata contro l’associazione dal Consorzio di Tutela del Grana Padano, che ha presentato una querela nei confronti di alcuni loro componenti, contestando ad essi i reati di diffamazione aggravata, interferenza nella vita privata, sostituzione di persona e ricettazione.
Il tribunale ha condannato l’associazione alla rimozione dal web dei video che documentavano una conduzione zootecnia assai poco ortodossa e difendibile, che nessun consumatore immaginerebbe possibile, soprattutto in stalle che fanno parte del sistema produttivo di un così popolare formaggio Dop.
Due sono state le incursioni degli attivisti di Essere Animali in altrettanti allevamenti, operate nel contesto di una campagna europea denominata “No Animal Left Behind”, tesa a richiedere al Parlamento Europeo la revisione delle leggi inerenti la tutela e la protezione degli animali da reddito.
Uno dei due allevamenti oggetto dell’incursione degli animalisti, in provincia di Bergamo, era stato “visitato” il 13 luglio scorso, per documentare le condizioni dei vitelli: separati dalle madri alla nascita e subito rinchiusi in piccoli recinti, per evitare che anche una sola goccia di latte vada “sprecata”. Una pratica che è sì prevista dalla normativa vigente “ma che”, denunciano quelli di Essere Animali, “diversi studi definiscono controversa” e a cui sono “associati danni comportamentali” degli animali così allevati.
Nel secondo video, girato il 29 settembre in un allevamento bresciano, oltre ad essere documentata la stessa pratica relativa ai vitelli emergeva una condizione di degrado generale molto grave.
Nelle suddette riprese sono inoltre documentati dei comportamenti violenti esercitati contro alcuni di questi animali: ad un vitello maschio un operaio grida “maschio di merda”, in quanto – si suppone – il medesimo non porta benefici (latte) alla produzione aziendale. E poi ancora, un altro inserviente che, in una diversa occasione colpisce un vitello a calci e schiaffi, prima di riempire i secchi di latte per quello e altri giovani capi, realizzato partendo da latte in polvere.
Nell’esprimere le loro decisioni, i giudici del tribunale bresciano hanno sottolineato che la rappresentazione operata dall’associazione Essere Animali attraverso “i video in oggetto rispondono” sì “al criterio di verità” ma al contempo hanno individuato in esso e contestato a chi lo ha voluto e realizzato “la veicolazione di un messaggio assai deleterio per la reputazione della filiera del Grana Padano”; un messaggio che avrebbe potuto far passare l’idea che detto formaggio si produrrebbe sistematicamente attraverso “modalità violente”, nelle “condizioni denunciate”.
Essere Animali è pronta a dar battaglia, costi quel che costi
L’associazione, che lunedì 10 gennaio per prima ha divulgato questa vicenda sul proprio sito web, attraverso un articolo (“Il Consorzio Grana Padano ha denunciato Essere Animali”) del suo presidente Simone Montuschi, non si dà per vinta e rilancia, affermando che “i tentativi di intimidazione non ci fermeranno”.
Nel suo testo Montuschi ricostruisce gli accadimenti, affermando che “da alcuni mesi il Consorzio di Tutela del Grana Padano sta attaccando Essere Animali su diversi fronti:
- prima ha presentato denuncia-querela nei confronti di quattro membri dell’organizzazione, per i reati di diffamazione, sostituzione di persona, interferenza nella vita privata, ricettazione;
- poi ha intentato una causa civile al Tribunale di Brescia ed ha ottenuto, in via cautelare, una pronuncia che dispone l’oscuramento dei video delle nostre investigazioni”.
“La decisione del Tribunale di Brescia”, prosegue il presidente dell’associazione animalista, “ci dà ragione su diversi aspetti. Si legge infatti nell’ordinanza: “in proposito si osserva che risponde al criterio di verità la rappresentazione dei maltrattamenti dei bovini e delle pessime condizioni igienico sanitarie relative agli allevamenti oggetto delle inchieste. Veritiero, ancora, il riferimento compiuto all’appartenenza delle aziende oggetto di denuncia al Consorzio di tutela del Grana Padano””.
“Inoltre”, precisa l’articolo, “per il Tribunale di Brescia, la nostra organizzazione non ha sfruttato indebitamente la reputazione del marchio Grana Padano per trarne un vantaggio commerciale, come invece ritenuto dal Consorzio. Il Tribunale di Brescia ha però accolto la richiesta di oscuramento dei video delle investigazioni perché avremmo veicolato il messaggio che “l’intera produzione del formaggio a marchio Grana Padano avvenga con le modalità violente e nelle condizioni denunciate””.
Un apetto quest’ultimo che l’associazione respinge con fermezza, quando ribadisce ciò che “specifichiamo da tempo in ogni video e in ogni comunicato”, vale a dire che:
- in tutti gli allevamenti di mucche da latte, indipendentemente che questo sia utilizzato per la produzione di Grana Padano, avvengono pratiche legali come la separazione del vitello appena nato dalla madre e il suo successivo isolamento, che causano agli animali stress e sofferenza. Anche se queste pratiche sono legali e comuni negli allevamenti, è un nostro diritto criticarle e impegnarci affinché vengano abbandonate;
- negli allevamenti di mucche da latte oggetto di inchiesta da parte dei nostri investigatori, abbiamo filmato comportamenti violenti degli operatori nei confronti degli animali, condizioni sanitarie critiche o altre irregolarità di legge. Episodi per cui abbiamo anche sporto denuncia alle autorità competenti. Non possiamo certo affermare che queste violazioni avvengono nella maggior parte degli allevamenti italiani, ma questo è ciò che abbiamo documentato con preoccupante frequenza”.
La sensazione netta è che le due realtà si trovino al primo atto di un conflitto che avrà altri episodi, con l’associazione animalista che si dimostra molto interessata a dare risalto alla vicenda, mentre la controparte, al momento, preferisce non esporsi se non attraverso i propri avvvocati di fiducia e per vie legali.
Il prossimo round sarà di nuovo presso il tribunale bresciano, che si pronuncerà in merito al ricorso contro la rimozione dei video, presentato da Essere Animali.
17 gennaio 2022